Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 13:20.
Ogni rottura fa storia a sé. Quando Cesare attraversò il Rubicone, passo più impegnativo della costituzione di un gruppo parlamentare, arringò le legioni dichiarando che la sua dignitas era stata offesa da Pompeo e dal Senato e con essa l'onore del suo esercito. Oh dèi, s'indignò Cicerone, si muove guerra alla propria città solo per una questione di dignitas? Che "bandito depravato" concluse il grande oratore.
Ora, nonostante i motivi personali abbiano giocato un ruolo importante nel divorzio Fini-Berlusconi, è innegabile che le differenze politiche siano state determinanti nella nascita dei Futuristi Liberali (bel nome no? Se lo adottano non chiederò il copyright). Mentre sono note quelle in tema di giustizia, forma partito, bioetica, immigrazione, federalismo, più sfumate sono le divaricazioni in campo economico. È un terreno sul quale il presidente della Camera finora ha dato sempre indicazioni piuttosto generali benché, in linea di massima, non esiti a dichiararsi liberale. Tra i capisaldi dei Futuristi ha poi fatto capolino, assieme alla legalità e al patriottismo, anche la "giustizia sociale" che, insieme al federalismo "solidale", potrebbe lanciare dei messaggi di distinguo "a sinistra" rispetto al Pdl. Poiché nelle fasi costituenti si definisce il proprio messaggio è quindi legittimo chiedere a Fini, con alcune domande concrete, come la pensa in economia e se la sua Destra, oltre che europea e laica, sia anche, absit iniuria verbis, liberista.
Domanda facile per iniziare: le province, un punto sul quale il Cavaliere ha avuto buon gioco nel dirgli che il programma del Pdl prevedeva l'eliminazione solo di quelle "inutili". Ci fa sapere Futuro & Libertà qual è la soglia (precisa please) d'inutilità? Quanti abitanti: 200mila, 300mila, 500mila? E invece degli oltre 8mila comuni, quanti ne sono necessari?
Relazioni industriali: pur nell'auspicio che il lavoro rimanga in Italia, ritiene anche Fini che Fiat abbia diritto di produrre dove è più conveniente? Il contratto unico nazionale ha ancora senso? E l'art.18 dello Statuto dei lavoratori? Vietate risposte tipo «il problema è ben altro». Come dice il Vangelo basta dire: «sì, sì, no no».