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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2010 alle ore 08:04.
Un passo alla volta, ma la direzione è segnata. Per continuare a mandare tutti i mesi un assegno a un italiano su quattro (trattamenti integrativi esclusi), il sistema previdenziale deve spostare in avanti le sue tante asticelle, e rompere (con delicatezza) i suoi tanti tabù. Contingenze europee a parte, il primo risultato è il tramonto della pensione di anzianità come l'abbiamo conosciuta fino a ieri; con un processo bipartisan come pochi altri.
Tra la riforma del 2007, che ha introdotto il meccanismo delle "quote", e quella di oggi che ha reso "mobili" le finestre, il tempo al lavoro di chi sceglie l'uscita anticipata si allungherà a regime di cinque anni (dal 2013 l'uscita effettiva sarà a 62 anni, contro i 57 che bastavano fino al 2007). Il cammino, poi, non si ferma nemmeno qui, perché l'aggiornamento automatico (triennale, a regime) dei requisiti in base alla speranza di vita trascinerà con sé anche l'età minima per la pensione di anzianità.
A ben vedere, la vera novità è questa, che per la prima volta permette di superare i dibattiti eterni su requisiti fissi destinati a un invecchiamento rapido.