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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2010 alle ore 08:37.
Il federalismo fiscale abbandona il terreno della sola battaglia politica e ideologica, non di rado fumosa e strumentale, per farsi concreto, nero su bianco, con il decreto legislativo che il governo si appresta ad approvare nelle prossime ore.
Il testo all'esame del consiglio dei ministri ha il merito di definire con chiarezza uno dei pilastri portanti della nuova architettura federalista: il sistema delle imposte che dal 2014 terrà in piedi le casse dei sindaci, garantendo loro l'autonomia delle proprie entrate. L'altro pilastro - i costi standard per le spese delle regioni, a partire dalla sanità - dovrebbe eliminare l'eccesso di inefficienza spendacciona e allineare in un ragionevole arco di tempo gli spreconi ai virtuosi: arriverà all'inizio dell'autunno, ma ne sentiremo parlare ancora nel corso dell'estate.
A scorrere la bozza del decreto si coglie tutta l'importanza di questo passaggio dalla categoria dell'astratto a quella del concreto. Qui si parla di case, della semplificazione delle tasse che ci pagheremo sopra ma anche del regime fiscale agevolativo che avremo per affittarle.
La manovra è congegnata in due fasi, la prima delle quali diventa particolarmente attraente grazie alla cedolare secca sugli affitti, scommessa storica che molti governi prima di ora avevano promesso o tentato di varare senza mai riuscire ad arrivare in porto (in verità, neanche ad avvicinarsi al porto). Se il disegno è questo, si capisce perché i sindaci abbiano preferito il confronto costruttivo rispetto all'aventino regionalista. Viene confermato, per esempio, che la prima casa non sarà tassata dopo l'abolizione dell'Ici. Anche Silvio Berlusconi, poco propenso a legare il nome del suo governo all'istituzione di nuove imposte, può digerire meglio questo insieme di interventi.
Ci saranno ancora piccoli punti da limare, da qui a domani e poi nel passaggio dei pareri parlamentari (non vincolanti), ma il dado è tratto ormai. Anche il fondo perequativo, che dovrebbe togliere ai ricchi per dare ai poveri, viene qui definito per la prima volta con una versione «sperimentale» di cinque anni: un modo per uscire dalla politica delle chiacchiere ed entrare in quella del fare, consentendo al tempo stesso ai comuni di verificare che il gettito derivante dalla nuova fiscalità sostituisca i trasferimenti attuali senza traumi eccessivi.