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L'Afghanistan non sia diviso

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2010 alle ore 08:03.

Negli ultimi 32 anni, gli afghani hanno combattuto diverse guerre per tenere insieme il loro paese. Nonostante tutte le macchinazioni delle grandi potenze e degli stati confinanti, nessun signore della guerra o leader afghano ha mai ceduto alle pressioni esterne per mettere fine all'unità nazionale.
Ora la guerra afghana è diventata più complicata con la pubblicazione di dossier militari segreti da parte del sito Wikileaks, un episodio molto imbarazzante per gli Usa, la Nato e il Pakistan. Ma nonostante il loro contenuto nefasto, queste fughe di notizie non devono distogliere l'attenzione da una serie di elementi fortemente positivi, che in passato hanno aiutato l'Afghanistan a sopravvivere.

L'Afghanistan è uno stato-nazione dal 1761, molto prima di quattro dei suoi vicini (Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan). Pur avendo subìto gravi guerre intestine e colpi di stato, vittima di tutte le ideologie del 900, l'Afghanistan e gli afghani hanno dimostrato una considerevole capacità di resistenza.

L'ultimo tentativo in ordine di tempo di suggerire la divisione del paese viene da un americano, Robert Blackwill, ex funzionario dell'amministrazione Bush ed ex ambasciatore in India. Blackwill ha scritto recentemente sul Financial Times che, dal momento che gli Usa non hanno speranza di vincere la guerra in corso in Afghanistan, dovrebbero prendere in considerazione l'idea di una spartizione di fatto del paese, lasciando il sud pashtun ai talebani e sostenendo il nord e l'ovest, dove vivono uzbechi, tagichi e hazara. Una spartizione di questo tipo, scrive, «in questo momento è il meglio che possiamo realisticamente e responsabilmente sperare di ottenere».

Veramente? Neanche un solo afghano sosterrebbe mai un progetto simile. La prima cosa da osservare è che il mix etnico dell'Afghanistan è estremamente complesso, con milioni di pashtun che vivono nel Nord in mezzo a uzbeki e tagiki. E anche il sud, a sua volta, ha una quota consistente di non pashtun. La spartizione potrebbe portare a orrori peggiori di quelli che accompagnarono la divisione dell'India nel 1947. Blackwill scrive avventatamente che «le piccole enclave di non pashtun nel sud e nell'est sarebbero una conseguenza sgradevole ma inevitabile».

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Tags Correlati: Afghanistan | Bush | David Petraeus | Fabio Galimberti | India | Nato | Pakistan | Politica | Pubblica Amministrazione | Robert Blackwill | Stati Uniti d'America |

 

Inoltre, abbandonare il Sud vorrebbe dire tradire quei pashtun che hanno resistito ai talebani. La spartizione relegherebbe i pashtun allo status di paria, ignorati e dimenticati tranne quando gli Usa dovessero ritenere necessario (cosa che secondo Blackwill ogni tanto succederebbe) di inviare un drone.
Una politica del genere minerebbe gravemente l'Afghanistan alimentando guerre interetniche. Penalizzerebbe il Pakistan incoraggiando una parte dei 40 milioni di pashtun pachistani ad allacciare rapporti con i loro 15 milioni di confratelli afghani, dando vita a uno stato etnico estremista che offrirà rifugio ai terroristi.

La tragedia dell'amministrazione Bush è stata continuare a trattare i pashtun, anche molto dopo l'11 settembre, come il nemico, e trasformare il sud e l'est dell'Afghanistan in una zona dove le forze americane potevano sparare a loro piacimento. Solo recentemente, con l'arrivo alla Casa Bianca di Obama, c'è stato un tentativo serio da parte degli americani e della Nato di tendere la mano ai pashtun e di rafforzare quelle tribù pashtun, quei popoli e quelle donne che per tutto questo tempo avevano opposto resistenza ai talebani.

In Pakistan, i talebani locali hanno ammazzato molte migliaia di pashtun moderati. Bisogna incoraggiare e sostenere anche loro, come sta facendo adesso, finalmente ma tardivamente, l'esercito pachistano.
Afghani e pachistani hanno visto quali sanguinosi risultati abbiano prodotto le spartizioni del 900, non solo in India, ma in Corea, in Vietnam, in Germania, in Jugoslavia e anche nello stesso Pakistan, con la separazione dell'odierno Bangladesh nel 1971. In questo momento, giocare con i confini di una regione tormentata da estremismo, terrorismo e conflitto etnico è come gettare un cerino acceso su una catasta di legna.

Sì, la situazione in Afghanistan è critica, la guerra contro i talebani sembra avviata al fallimento e le forze occidentali vogliono disimpegnarsi il prima possibile. Ma l'unica soluzione è un dialogo fra i veri leader talebani, Kabul e Washington, per una spartizione del potere sia a livello centrale che nelle province.

Obama deve muoversi in fretta. La regione non può aspettare la revisione strategica che verrà fatta a dicembre o i tentativi del generale David Petraeus di sconfiggere i talebani prima di dialogare con loro. Usa e Nato devono avviare dei colloqui con i talebani subito, creare un consenso regionale tra i paesi vicini per questi colloqui, offrire all'Afghanistan un impegno a lungo termine per la costruzione di uno stato e trasferire lentamente i poteri all'esercito e alla polizia afghani. Le chiacchiere su una divisione territoriale del paese vanno consegnate alla spazzatura della storia.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© FINANCIAL TIMES

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