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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2010 alle ore 07:52.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2010 alle ore 08:45.
In soli 15 mesi, il piano di Marchionne per l'accordo Fiat-Chrisler, siglato nell'aprile 2009, finanziato da Obama e approvato dall'80% degli operai coinvolti, nonché dai relativi sindacati, ha rimesso in funzione gli stabilimenti di Detroit che stavano per chiudere, ha incrementato la loro manodopera e i turni di lavoro, ha riportato all'utile operativo l'azienda prossima al fallimento, che ora inizia perfino a ripagare il debito ai contribuenti americani.
Certo, «non è tutt'oro quel che riluce». In particolare, la retribuzione degli addetti nelle new entries di Detroit è di 14 dollari l'ora - inferiore a quella di una babysitter italiana poco qualificata, quasi la metà del salario orario offerto alle old entries, ma è pari, come ci ricorda l'inviato a Detroit del Sole 24 Ore, Christian Rocca, nel suo reportage del 31 luglio, alla paga percepita nelle «fabbriche desindacalizzate delle auto giapponesi e coreane installate con successo nel Sud degli Stati Uniti». D'altronde, commenta un dipendente della Fiat-Chrisler intervistato da Rocca, «qual è l'alternativa? Meglio uno stipendio più basso che nessuno stipendio».
Questa semplice verità sembra sfuggire a molti osservatori e stakeholder italiani, implicati in analoghi processi di ristrutturazione e potenziamento aziendale, ideati sempre da Marchionne per l'Italia. Forse perché da noi esistono più estese, ma non necessariamente più efficienti, reti di protezione fornite dalle famiglie e dal Welfare state. Infatti una significativa, sia pur minoritaria, quota dei dipendenti delle aziende Fiat – e una parte consistente dei sindacati nostrani, dei partiti di opposizione, delle stesse forze di governo, centrale e locali – ritengono che così si attenta ai più elementari diritti e alle passate conquiste dei lavoratori del nostro paese, per i quali si chiedono invece adeguate garanzie. Come se il mantenimento o l'allargamento dei posti di lavoro non fossero precisamente questo!
I vari commentatori e protagonisti delle recenti vicende interessanti la Fiat, ma più in generale l'Italia, vista la centralità di tale fabbrica automobilistica nel complesso del nostro sistema industriale, dovrebbero però tener presente due elementi che rendono il problema italiano nel 2010 più difficile da risolvere di quello americano nel 2009.