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Commenti e Inchieste

Danni da disoccupazione interiore

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2010 alle ore 08:04.

La stessa regina dagli occhi vuoti. La regina disoccupata e attivissima. Nelle notti in discoteca a Milano, nelle notti dei bagnini di Rimini. Uno dei più noti è morto nei giorni scorsi. La cocaina passa direttamente dalle stragi di bande di giovani narcotrafficanti colombiani alle notti di tristi luci dei ritrovi fichi di questa Italia, che legge Fabio Volo e s'annoia mortalmente. Che fa lavori non duri (quelli li fanno altri) ma troppo stressanti e allora deve pippare.

La droga, diceva il grande poeta Baudelaire motivando la sua contrarietà ad ogni liberalizzazione, ammala la libertà della gente. Non m'importa se fa male o no ai polmoni, dice nei suoi lucidi saggi dedicati all'hascisc, ammala la libertà il che è molto peggio. E poi se a un uomo, continua il poeta, basta un mezzo cucchiaio di confettura (così si presentava quella droga) per ottenere una specie di beatitudine, per quale motivo poi dovrà lavorare, impegnarsi, darsi da fare?

Il problema della droga, infatti, è il lavoro. Perché la droga è il contrario del lavoro. Chi può permettersi di passare notti brave in discoteca significa che fa dei lavori in fondo poco impegnativi. Non intendo che non siano lavori importanti, magari pagati bene, e perché no di prestigio, almeno secondo le attuali classifiche del prestigio. Ma lavori che chiedono per così dire un impegno parziale. Una responsabilità parziale. Anche il bagnino in fondo lavora un sacco, ma solo alcuni mesi l'anno.

Recenti statistiche però ci dicono che ormai l'uso della cocaina non è più roba da vip, ma circa sette su 100 lavoratori italiani ne fanno uso. Dunque, non certo solo showgirl, giocatori di borsa, o il modello, ma anche autisti, infermieri, avvocati, medici, bidelli, eccetera. Una malattia che avvelena l'Italia trasversalmente. Dunque non è solo la droga di chi non lavora, ma è la droga dei lavoratori. Ma quali lavoratori? Sono ancora veramente lavoratori? Non siamo infatti in un'Italia che lavora meno? Non nel senso della disoccupazione, ma della maloccupazione.

Un lavoro drogato. Del tirar via, del non imprendere cose nuove, del tirare avanti, del non piegare le spalle. Del non impegnarsi fino in fondo, perché tanto non si conquista nessuna vera beatitudine. Quella ce la dà la droga, o la fortuna. O le altre droghe disponibili, in discoteca, in chat, in rete. La droga annulla qualsiasi necessità di prestazione. Qualsiasi necessità di "conquistarsi" un premio con l'impegno. Te lo dà lei il premio, con niente sforzo. Solo che non ti accorgi che in cambio lei, la dama bianca, si sta prendendo te. Fino a portarti via, com'è accaduto per il povero bagnino, o lasciando di te solo una scorza, una maschera. È una specie di disoccupazione dentro l'occupazione.

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Si lavora ma senza più la necessità, l'urgenza e in fondo la nobiltà del lavoro. Forse l'emergenza droga dovrebbe essere affrontata dal ministero del Lavoro. Una disoccupazione interiore che fa danni almeno quanto la disoccupazione esteriore, se non di più. Danni estremi, quasi irrimediabili. Perché dalla mancanza di lavoro si può passare, cercandolo, a un lavoro, ma dalla disoccupazione generata dalla dama bianca è difficile tornare all'umana occupazione.

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