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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2010 alle ore 08:03.
Ferragosto, certo Ferie d'Agosto, ma anche le Ferie di Augusto, il primo Imperatore ad assumere il compito di essere Apollo, apollineo, il garante di un tempo sociale equilibrato, senza troppi scossoni e soprattutto regolato. Forse occorre risalire a lui per capirci qualcosa ed evitare Wikipedia che deliziosamente dice che il «Ferragosto è una festa solo italiana» quasi fosse la festa di Sant'Agata a Catania o di San Gennaro.
Chissà allora perché - magari non proprio il 15 - si è estesa fino alla fredda Britannia mascherata come Bank Holiday. Ottaviano e poi Augusto Imperatore ambizioso giovincello che passa tutta la sua vita in competizione con uno molto più dotato di lui, Antonio, talmente geniale e affascinante da essere diventato l'amante di Cleopatra, l'erede in questo di Cesare nel talamo della stessa. Augusto si rode perché non è considerato al pari di Antonio che è un gran condottiero (ma anche un gran filosofo), la reincarnazione di Dioniso.
Antonio organizza "rave party" su magnifiche navi ad Alessandria e sul Nilo, dove Cleopatra è ovviamente Venere con un codazzo di ninfe cover girls. Antonio glielo dice in faccia ad Augusto: l'importante è il piacere, il desiderio, il regno dell'eros e della pace erotica, per poco non inventa lui il movimento hippie, ma soprattutto Antonio ha un'altra idea della società, meno aggressiva, meno imperiale e imperalista, ha scoperto in Egitto e nel letto di Cleopatra la grande saggezza orientale. Farà una brutta fine, perché Augusto non ne sopporta l'evidente successo.
Una volta neutralizzato Antonio, Augusto resterà solo e la sua pace imperiale dovrà trovare un contentino, un resto della società del desiderio decantata da Antonio. E sarà il Ferragosto, l'idea che nella regolata vita sociale di un impero di sudditi ci saranno di momenti di oblio, di sregolatezza, di vacanza, di distrazione.
È da lì che nascono le ferie. Sono il contentino che una società regolata dal lavoro darà perché tutto non esploda a un certo punto, perché qualcuno non capisca che forse il senso della vita non sta nella regola e nel lavoro. Jean-Pierre Vernant ci racconta che per i Greci il termine lavoro non esisteva. Esisteva "panòs", che stava per ogni attività lavorativa o meno che fosse faticosa, dolorosa. Ma il lavoro del contadino e il lavoro dell'artigiano e il lavoro del guerriero erano considerate attività rituali, un modo di entrare in relazione e porsi in dipendenza della natura delle cose.