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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 08:56.
L'ultima modifica è del 17 agosto 2010 alle ore 08:57.
Non riesco veramente ad entusiasmarmi del dibattito scienza-fede», aveva scritto Nicola Cabibbo all'inizio del 2009 in un articolo per Il Sole-24 Ore Domenica sul caso Galileo, nel quarto centenario dalle osservazioni astronomiche che avevano rivoluzionato la scienza moderna. Anche Cabibbo, come fisico, è stato un grande innovatore. Ma quelle parole erano signifitive in quanto egli ricopriva, dal 1993, l'incarico assai delicato di Presidente dell'Accademia pontificia delle scienze. «Il possibile imbarazzo teologico di oggi verso alcune idee della scienza – proseguiva Cabibbo – sembrerà domani del tutto irrilevante: le teorie scientifiche di oggi saranno forse rafforzate, e poi sopravanzate da teorie più complete e dettagliate. È quello che è successo alle teorie di Copernico, inglobate e completate da quelle di Newton e poi di Einstein. È così che la scienza procede, ed è bene abituarsi».
Sono parole di un grande scienziato che ci ha lasciato ieri all'età di 75. La sua morte è avvenuta nell'ospedale romano Fatebenefratelli. È stato uno dei fisici italiani più noti a livello mondiale per il contributo alla conoscenza del mondo delle particelle elementari. Le sue teorie sono presenti in tutti i libri di fisica. Negli ultimi anni, dopo aver lavorato nel Cern di Ginevra, ha insegnato nelle università di Roma La Sapienza e Tor Vergata. È stato presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per nove anni inaugurando i laboratori del Gran Sasso.
Nel 2008 aveva suscitato un notevole stupore la mancata assegnazione del premio Nobel per la fisica allo scienziato italiano. Il riconoscimento era andato, oltre che a Yoichiro Nambu (per aver introdotto il concetto di rottura "spontanea" di simmetria), ai contributi di Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa, per la loro spiegazione delle differenze, minime ma sostanziali, osservate nel comportamento della materia e dell'antimateria, che non sarebbe stata possibile prescindendo dalle scoperte di Cabibbo. Nel 1963, quando i fisici conoscevano solo un numero limitato di particelle (composte dai quark up, down e strange) la sua teoria – che prendeva sunto da alcune intuizioni di Murray Gell-Mann e Maurice Lévy – stabilì che la probabilità della transizione elettrone-neutrino è uguale a quella della transizione fra il quark up e una precisa "miscela" dei down e strange definita da quello che da allora si chiama in tutto il mondo «angolo di Cabibbo». La sua teoria non mancò di trovare conferme nella spiegazione dei processi e delle particelle noti a quel tempo. Nel 1970, Sheldon Glashow, Jean Iliopoulos e Luciano Maiani, a suggello di tale universalità, partirono da quella per prevedere l'esistenza di un nuovo quark (lo quark charm), che venne verificata sperimentalmente quattro anni dopo. E nel 1973 Kobayashi e Maskawa, cui poi andò il Nobel, partirono da quella teoria per spiegare le differenze fra il comportamento di materia e antimateria. Differenze che delineano la violazione di simmetria necessaria per spiegare come, dopo il Big Bang, la materia abbia prevalso sull'antimateria, precodizione necessaria per la nascita di galassie, stelle, pianeti e, dunque, degli esseri viventi.