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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2010 alle ore 08:48.
«Sono preoccupato più dallo stallo politico che dal ritiro degli americani. Il problema principale non è il terrorismo di al-Qaeda ma la corruzione». Le parole di Saywan Barzani, 38 anni, ambasciatore in Italia e nipote del leader curdo Massud, riflettono la maggiore preoccupazione degli iracheni: un governo assente, politici indecenti, un'economia che galleggia sul petrolio ma non crea né posti di lavoro né servizi. Le truppe sfilano senza squilli di tromba oltre il confine con il Kuwait ma la battaglia non è finita. A Teheran, Damasco, Riad e Ankara, insidiosi vicini di Baghdad, tutti contrari all'invasione del 2003, sanno che il paese è vulnerabile al gioco delle influenze: per gli Stati Uniti la posta era fare dell'Iraq un alleato occidentale, per gli altri l'obiettivo è farlo restare nel marasma del Medio Oriente. Ecco perché la guerra dei sette anni continuerà.
La prima domanda da farsi è se l'Iraq sia un posto migliore di prima. Per i curdi e gli sciiti del sud massacrati da Saddam non c'è dubbio. Troppo facilmente si dimentica che le guerre del Raìs prima di tutto furono conflitti civili trasferiti all'esterno: l'attacco all'Iran nell'80 aveva come motivazione profonda soffocare l'opposizione sciita. I conflitti con i curdi erano mirati a eliminare con i gas un'etnia che reclamava l'indipendenza. Il Kurdistan è una regione autonoma che vorrebbe annettersi Kirkuk, la contesa città del petrolio. Gli sciiti occupano la maggioranza dei posti e dominano le provincie con le riserve di oro nero. Eppure sono inquieti e turbolenti, pronti a farsi manovrare da personaggi come il mullah Muqtada Sadr, uno dei bracci operativi dei pasdaran iraniani. I sunniti non riescono invece a inghiottire l'amaro calice di avere perso il potere dopo secoli di predominio. Il terrorismo continua soprattutto per questa ragione, resa ancora più incandescente dal fatto che il premier Al Maliki non vuole cedere il passo a Iyad Allawi che ha ottenuto una risicata maggioranza mettendo insieme rappresentanti sciiti e sunniti. «Al-Qaeda è ancora presente ma è pure un marchio di comodo sugli attentati perché la rete è in gran parte organizzata dal partito Baath» dice Barzani, confermando involontariamente che se non ci sarà una cooptazione degli spezzoni del vecchio regime difficilmente l'Iraq avrà pace.