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Commenti e Inchieste

Anche il Nord non vede, né sente, né parla

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2010 alle ore 08:05.

Il dato più sorprendente dell'ultima inchiesta della direzione distrettuale antimafia milanese è l'esistenza nell'hinterland di Milano e in Lombardia di un sistema diffuso di racket e usura ai danni delle imprese. Le indagini, effettuate d'intesa con la magistratura calabrese, sono state chiuse a metà luglio con oltre 300 arresti di affiliati alla 'ndrangheta. Per la prima volta è emerso nel cuore della parte più produttiva del paese un fenomeno criminale considerato finora caratteristica del Mezzogiorno.

Certo, episodi di malavita organizzata, di taglieggiamenti degli imprenditori non sono una novità neppure al Nord, come confermano i segnali dei tentativi delle organizzazioni criminali di attrezzarsi per avere voce in capitolo negli investimenti per l'Expo 2015 (confermati nelle settimane scorse a Radio 24 dal sindaco di Milano, Letizia Moratti). E da tempo è chiaro che proprio a Milano si giocano partite importanti nel campo del riciclaggio. Ma il salto di qualità è rappresentato dalla vastità del fenomeno e da un aspetto preoccupante: la mancanza di reazioni, il silenzio, le connivenze. «L'assenza di denunce è il dato più impressionante e negativo», ha dichiarato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, del Tribunale di Milano, artefice dell'inchiesta insieme al procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone.
Sempre Boccassini ha aggiunto: «L'omertà non appartiene al Sud, anzi è una caratteristica più marcata nel Nord Italia». L'affermazione è sotto molti aspetti sorprendente. Di sicuro, secondo quanto risulta dalle indagini e come ha spiegato lo stesso magistrato: «In tutti i casi di usura le vittime non hanno mai, dico mai, ammesso di essere state oggetto di minacce».

Come si spiega che i taglieggiamenti, l'usura, le intimidazioni, gli appalti irregolari di servizi e forniture, gli investimenti immobiliari effettuati violando le leggi siano diventati così diffusi? Dice Antonello Montante, delegato di Confindustria nazionale per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio: «La mancanza di denunce è spiegabile in molta parte dei casi per l'imbarazzo di ammettere i fatti e non soltanto per paura». In più, sostiene, «pesa l'individualismo, l'indifferenza al problema fino a quando non lo si vive sulla propria pelle».

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Tags Correlati: Antonello Montante | Confindustria | Direzione Distrettuale Antimafia | Giuseppe Pignatone | Ilda Boccassini | Italia del Nord | Letizia Moratti | Michele Prestipino | Radio24 | Sud |

 

Resta il fatto che 'ndrangheta, mafia e simili hanno una carta da giocare non di poco conto: la disponibilità di capitali, la forza del denaro che non manca mai. Una disponibilità che, in particolare, ha pesato nell'ultimo paio d'anni, quando la grande crisi ha complicato i rapporti tra imprenditori e banche riducendo in molti casi le possibilità di accesso al credito.
Il nodo della convenienza economica è centrale. Michele Prestipino, procuratore aggiunto prima a Palermo e attualmente a Reggio Calabria, ha spiegato che «bisogna rendere conveniente denunciare» alle vittime di racket e usura, per evitare che diano copertura ai taglieggiatori. Per questo, ha aggiunto, «la leva per gli imprenditori deve essere quella economica, altrimenti preferiscono comunque affrontare un procedimento penale piuttosto che mettere a rischio affari». Un esempio, in proposito, è rappresentato dalla norma del nuovo pacchetto sicurezza che esclude dagli appalti chi non denuncia il racket. L'obiettivo è semplice: creare le condizioni affiché «la denuncia non sia solo un obbligo etico e morale – conclude Montante – ma sia soprattutto conveniente».

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