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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2010 alle ore 08:04.
«Pace in Medio Oriente». Se cercate in emeroteca scoprirete che quasi tutti i giornali del mondo titolarono così. Fu quando il presidente degli Stati Uniti convocò a Washington israeliani e palestinesi. Dovevano firmare gli accordi di Oslo (anche se erano a Washington) ed era il settembre 1993. Come è noto non ci fu alcuna pace ma una seconda intifada, l'11 settembre, una guerra in Afghanistan, una in Iraq e due altre, cosiddette minori, nel Sud del Libano e a Gaza. Solo una parte di questa narrativa del XXI secolo rientrava nel capitolo "Israeliani e Palestinesi", ma se allora i due nemici si fossero pacificati, il Medio Oriente sarebbe stato un posto migliore.
Dire che il ritorno al dialogo diretto sia un bene è come fare un elogio del caro estinto sapendo che non lo merita: un atto dovuto. La verità è che i negoziatori cammineranno nello scetticismo: il loro, quello dei comprimari e dei testimoni. In ogni caso è obbligatorio essere ottimisti e contemporaneamente dubitare. La storia del conflitto ha già provato che una trattativa mediocre a volte è peggio di nessuna trattativa.