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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2010 alle ore 14:24.
«I genitori non abituano nemmeno più i figli alla probità e alla modestia... Mi sembra che i difetti vengano quasi concepiti dentro il ventre stesso delle madri: parlo della infatuazione per la gente dello spettacolo, le automobili e i calciatori: quanto tempo, seppur breve, può concedere agli studi un animo assediato e preso da questi pensieri? E dove troviamo un giovane che parli di qualcos'altro a casa sua? E se entriamo talvolta in una scuola, che altro genere di discorsi possiamo sentire tra gli adolescenti? Persino i maestri non parlano d'altro!».
Bravo, bene! Che tempi miserabili viviamo! Un attimo, stiamo parlando del XXI secolo? Non proprio: se come oggetti dell'infatuazione sostituiamo istrioni, cavalli e gladiatori, eccoci planare nelle scuole del I secolo d.C. così come descritte da Messala, personaggio del dialogo De Oratoribus di Publio Cornelio Tacito.
L'estate serve a rilassarsi e riflettere e nulla più degli autori classici aiuta in questo compito. Attraverso le loro parole comprendiamo come l'animo umano mantenga costanti alcune caratteristiche e come certi problemi che ci sembrano dell'oggi siano invece eterni. D'altra parte, ci rendiamo conto che alcuni stati di fatto e convinzioni che appaiono granitici, col passar del tempo non son più tali. Tacito, il grande storico vissuto tra il I e il II secolo d.C., ci guida in questo slalom tra il permanente e il transeunte anche nel suo testo sull'oratoria, concepito come un dialogo tra tre personaggi principali, Materno, Messala e Apro (senatori ricchi e di rango, sebbene quest'ultimo provinciale), i quali prima si confrontano su vizi e virtù dell'eloquenza e della poesia e poi si chiedono se fossero migliori gli oratori antichi o i moderni.
Due temi in particolare mi son sembrati attuali. Il primo riguarda le parcelle degli avvocati. Con buona pace del Consiglio nazionale forense, all'epoca non solo nessuno pensava alle tariffe minime, ma anzi varie leggi, a partire dalla Lex Cincia de donis et muneribus del 204 a.C, vietavano qualsiasi tipo di remunerazione per le difese legali. Come succede sempre quando il legislatore dispone divieti assurdi e impone i prezzi, la legge veniva tranquillamente elusa, ma nella mentalità aristocratica dell'epoca, l'uomo di rango continuava a poter svolgere determinate attività solo da dilettante e non come - esclama il nobile Messala - sordidissimis artificiis, cioè delle sordide attività artigianali. È chiaro? L'avversario dell'imprenditore, di chi crea la ricchezza col proprio lavoro, è l'aristocratico che ha diritti acquisiti e che appartiene, insomma, alla "casta". E questo vale anche per gli oratori i quali, come osserva l'homo novus Apro, grazie alla loro capacità non dipendono nemmeno dall'imperatore ma si raccomandano solo a loro stessi, propiziano solo il loro genio e sperimentano solo la propria liberalità!