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Lezioni di greco per i gufi

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2010 alle ore 14:50.
L'ultima modifica è del 22 agosto 2010 alle ore 15:05.

Ricordate qualche mese fa dotti premi Nobel e sapienti luminari dell'economia al capezzale della Grecia? Come il corvo, la civetta e il grillo parlante di collodiana memoria non avevano dubbi sull'irrimediabile default del burattino ellenico e interpretavano le lacrime e sangue promesse dal governo greco, non come opportunità di ripresa ma come «il segno che gli dispiace di morire». Scuotendo la testa, indicavano perciò come unica via d'uscita disperati salassi e cure da cavallo all'argentina, ovvero l'uscita dall'euro e la svalutazione di una nuova dracma.

Alcuni vaticinavano un euro a due velocità e c'era chi si spinse addirittura a chiedere di cacciare la reproba Grecia dall'Unione europea.
Può darsi che anche quelle lugubri ricette siano servite a qualcosa e abbiano aiutato la Grecia a ingoiare, proprio come Pinocchio, l'amara medicina del rigore di bilancio e delle riforme strutturali. Fatto sta che in questi giorni la Commissione europea ha elogiato gli «impressionanti sforzi» di consolidamento compiuti dal Governo di George Papandreou. Le misure di riduzione del deficit adottate «appaiono sufficienti» per raggiungere gli obiettivi di risanamento fissati per il 2010, di ridurre dal 13,6% all'8,1% il deficit pubblico.

Certo, non è il caso di eccedere nell'euforia, visto che la divergenza di rendimento dei buoni del tesoro greci resta sopra gli 800 punti base rispetto ai bund tedeschi e pure Bruxelles ammette che «permangono rischi» nella situazione di lungo periodo di Atene e saranno necessari «ulteriori sforzi». Però la situazione non appare più senza uscita. E forse ci si può chiedere, mentre si richiude l'ombrellone o si ripongono gli scarponcini nella borsa, se non ci sia qualche morale da trarre dalla devastante malattia della Grecia e dagli insperati segnali di miglioramento. E se non ci siano almeno cinque lezioni da tenere ben presente.

1) Il "quasi collasso" delle finanze pubbliche elleniche, aggravato dalla falsificazione dei dati trasmessi a Bruxelles per anni, ha dimostrato le conseguenze disastrose che possono derivare dal derapare di troppo rispetto ai parametri di Maastricht. Ha evidenziato che la tenuta di undici anni di moneta unica non è un bene da dare per scontato, ma esige un costante impegno di tutti i partecipanti nel controllo di deficit e debito entro limiti accettabili (in particolare attraverso il controllo della spesa pubblica improduttiva) e richiederebbe pure un maggiore coordinamento delle politiche economiche. E ha ricordato a tutti che, altrimenti, la punizione dei mercati può essere tremenda.

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Tags Correlati: Angela Merkel | Atene | Axel Weber | Bce | Bruxelles | Bundesbank | Fmi | George Papandreou | Germania | Giulio Tremonti | Irlanda | Portogallo | Spagna

 

2) Il tracollo dei titoli greci e il rischio di un effetto valanga che travolgesse anche altri paesi ad alto debito come Portogallo, Spagna e Irlanda ha indotto i paesi dell'eurozona, sebbene con qualche irritante ritardo e dibattito di troppo, a fare un passo di solidarietà. Alla fine si è scelto la strada più logica di creare una rete di sostegno, in sintonia con il Fmi, sulla base di stringenti impegni di austerità intrapresi da Atene. Il mega-piano da 110 miliardi di euro approvato all'inizio di maggio, seppure fumoso in alcuni contorni, ha svolto un (per ora) efficace ruolo di deterrente e rimane un'arma nell'arsenale dell'eurozona, che prima non esisteva.

3) La Germania di Angela Merkel nonostante abbia frenato per settimane, alla fine ha fatto la sua parte e ha accettato il prezzo di responsabilità che richiede essere il paese di riferimento dell'euro, che più trae benefici dal mercato unico. Ha assicurato il proprio contributo al mega-fondo di salvataggio per la Grecia e ingoiato controvoglia anche il fatto che la Bce potesse intervenire sui mercati secondari a sostegno dei titoli dell'eurozona, sebbene il presidente della Bundesbank Axel Weber si sia opposto pubblicamente, in modo scomposto e poco ortodosso. La crisi greca ha così evidenziato che, sebbene tra mille contorcimenti, nei momenti di emergenza anche Berlino è pronta a tendere la mano ai partner della moneta e ha lasciato alla Bce uno strumento in più. Tutto questo, prima della crisi greca, non era poi così scontato.

4) Dal punto di vista italiano, la crisi ha dimostrato che quello che poteva sembrare un ottimistico teorema tutto da dimostrare, espresso dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, è una realtà confermata dai mercati. Avere un alto tasso di risparmio e un basso debito privato, un sistema bancario poco esposto con strumenti finanziari ad alto rischio e un rodato meccanismo di rifinanziamento del debito pubblico è più importante del valore assoluto dell'indebitamento, osservato da Maastricht. Per questo l'Italia, pur avendo a circa 118% rispetto al Pil il più alto debito di Eurolandia, al momento peggiore della bufera non si è trovata in prima linea sotto il tiro dei mercati, che hanno puntato, oltre alla Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Al tempo stesso, non dobbiamo autocompiacerci troppo perchè rimaniamo comunque in una zona non troppo di stante e questo ha spiegato la necessità della manovra aggiuntiva di 25 miliardi.

5) L'ultimo inconfessabile motivo per cui varie imprese europee esportatrici possono ringraziare Atene è che la crisi greca ha riportato un po' più in basso un euro che nel 2009 era volato molto in alto. Una valuta europea sotto 1,30 contro il dollaro appare più in linea con i fondamentali e in grado di dare una piccola spinta a una ripresa che ancora stenta a prendere velocità. Sempre che l'euro continui a esistere, a dispetto di dotti, medici e sapienti profeti di sventura.

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