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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 08:39.
L'ultima modifica è del 24 agosto 2010 alle ore 08:05.
La vicenda di WikiLeaks e i 76mila file segreti del Pentagono sulla guerra in Afghanistan pubblicati in rete e da alcuni giornali ripropongono con forza un problema connesso alla libertà e alla trasparenza dell'informazione. Senza voler fare dietrologia a tutti i costi, senza voler vedere complotti ovunque - una malattia che dovrebbe essere debellata - interrogarsi su chi finanzia WikiLeaks più che lecito è doveroso.
Proprio per sgomberare ogni sospetto che qualche manina interessata abbia armato il sito di Julian Assange fornendogli materiale ad altissimo contenuto incendiario. Sapere chi controlla la stampa, rendere pubblici i bilanci degli organi di informazione, è una delle pietre miliari della democrazia nell'era della comunicazione. Stupisce che pochi si pongano il problema di estendere al web gli obblighi già previsti per la televisione, la radio e la carta stampata in tutto il mondo occidentale. Negli anni Settanta, in Italia, fu una grande battaglia combattuta e vinta dal sindacato dei giornalisti. Oggi i bilanci degli organi di informazione sono pubblicati e messi a disposizione di chiunque voglia consultarli. Il web è ancora un mondo a volto coperto.