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La storia non è maestra nel salvare le banche

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2010 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 25 agosto 2010 alle ore 08:06.

Quando le banche hanno cominciato a traballare sotto i colpi della crisi globale, i governi si sono precipitati a salvarle, con grande dispiego di denari pubblici. Anche perché in qualche caso ne andava non della sopravvivenza di un singolo istituto, ma della stabilità di interi sistemi bancari e in ultima analisi delle economie nazionali.
Il bello è che da subito, quasi unanimemente, si annunciò che c'era una ricetta bella e pronta.

Ed era quella adottata dai paesi scandinavi (Svezia, Norvegia, Finlandia), che negli anni 90 erano usciti con successo da una serie di crisi bancarie, a costi alla fine contenuti per le tasche dei contribuenti.
Oggi, un paio d'anni dopo i momenti cruciali della crisi, un confronto con i salvataggi scandinavi evidenzia come quella lezione, che tutti giuravano di voler seguire, non sia stata affatto applicata. L'analisi è interessante anche perché a proporla è, insieme a due colleghi, Claudio Borio, uno degli economisti della Banca dei regolamenti internazionali che possono rivendicare di aver individuato e denunciato pubblicamente in anticipo le magagne della finanza che avrebbero portato poi alla grande crisi.
Stavolta, dicono Borio e i suoi coautori, le autorità sono intervenute molto rapidamente, forse troppo, tanto da rendere poi più difficili gli interventi in profondità che sarebbero stati necessari. In particolare, mentre venivano realizzate azioni di breve termine, concentrate sulla fornitura di liquidità in quelli che in molti casi erano invece problemi di insolvenza, è andata invece troppo lentamente ed è lungi dall'esser completata la pulizia a fondo dei bilanci bancari, compiuta nei paesi scandinavi, e scarsa attenzione è stata prestata alla riduzione della capacità in eccesso del settore finanziario. Le maggiori economie si ritrovano oggi, dopo due anni di interventi, con settori finanziari che restano ipertrofici rispetto alle loro dimensioni. Nei tre paesi scandinavi, sia il numero delle banche e delle filiali bancarie, sia l'occupazione del settore subirono un brusco ridimensionamento. Per di più, gli interventi degli ultimi due anni hanno creato serie distorsioni del mercato fra gli istituti che hanno ricevuto il sostegno pubblico, esplicito e implicito, e gli altri.

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Tags Correlati: Banca dei regolamenti internazionali | Claudio Borio | Mercato del lavoro

 


Certamente, la crisi attuale è molto più complicata di quelle scandinave, per il suo respiro internazionale, la complessità degli strumenti finanziari alla base dei problemi e anche - un aspetto spesso sottovalutato - per il diverso trattamento contabile (mark to market) rispetto a quello tradizionale dei prestiti bancari.
Ma, dimenticando la lezione scandinava, è possibile che abbiamo dato troppo peso a considerazioni di breve respiro, pensando in questo modo di favorire il ritorno della domanda aggregata, e abbiamo invece ritardato la rifondazione di un sistema finanziario con una redditività più sostenibile e meno esposto al rischio. Allontanando così una ripresa che si regga sulle proprie gambe.

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