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Una riforma fiscale contro il mostro deflazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 08:42.
L'ultima modifica è del 26 agosto 2010 alle ore 08:42.

Se vogliamo affidarci alla metafora di Niall Ferguson, storico di professione ed economista per passione, Godzilla è pronto a sconfiggere King Kong. Lo scontro fra i mostri liberati dalla crisi del credito, ovvero la battaglia fra inflazione e deflazione, come ebbe a dire il docente di Harvard, rischia di risolversi verso lo scenario deflattivo.


La zampata di Godzilla è apparsa minaccia prevalente anche nelle parole, volutamente provocatorie, pronunciate dal presidente della Fed di Saint Louis, James Bullard, il 29 luglio scorso, quando è arrivato ad immaginare uno scenario giapponese per l'economia americana.
Sventolare il declino giapponese per i destini americani è, forse, una fuga in avanti: ma la realtà di oggi è molto diversa dalle aspettative di qualche mese fa. La crescita del secondo trimestre su base annua dell'economia statunitense è passata dal 2,4% all'1, il terzo trimestre minaccia di essere piatto e l'ultimo, probabilmente, sarà negativo.
Lo scenario del double dip, di una ricaduta nella recessione, si va così consolidando, d'improvviso. Per questo è ora necessario cambiare strada, eliminando le residue incertezze, convincendosi che se Godzilla è più forte di King Kong, vanno adottate armi molto più potenti di quelle fino ad ora utilizzate. Se non altro per la semplice ragione che oggi sappiamo come battere l'inflazione, ma non conosciamo, né sappiamo come somministrare, gli antidoti necessari per guarire un corpo economico malato di deflazione.


L'emergenza crescita è assolutamente prioritaria. Credo che i passaggi per riportare gli Usa sulla via dello sviluppo siano sostanzialmente tre: la Fed deve attrezzarsi contro la deflazione promuovendo l'erogazione di finanziamenti sia alle attività d'impresa, sia alle famiglie.


I l Congresso deve ispirarsi alla riforma fiscale del 1986 abbattendo l'aliquota marginale e allargando la base imponibile; il Paese deve ritornare verso logiche di deregulation, abbandonando la tentazione di porre lacci e lacciuoli a settori-chiave dell'economia, come quello finanziario.
Restiamo ai due primi passaggi, i più importanti nell'emergenza che si va defilando. La politica monetaria ha portato gli Usa a interessi a zero e al quantitative easing - allentamento quantitativo - di 1.200 miliardi di dollari provocando una crescita dell'M2 debole e aumentando la tendenza al risparmio di cittadini intimoriti dalla fragilità del contesto economico. Uno scenario che accelera il rischio di una caduta dei prezzi.

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Tags Correlati: Barack Obama | Fed | George Santayana | Harvard | Inflazione | James Bullard | Stati Uniti d'America

 

La Fed lo ha intuito, ma non s'è ancora risolta ad adottare misure radicali, divenute ormai urgenti e indispensabili. Dovranno andare nella direzione già adottata, ma con più determinazione di prima. Lo strumento monetario va rilanciato, avviando un'altra ondata di quantitative easing per almeno altri mille miliardi di dollari: danari messi sul mercato per l'acquisto di titoli di stato a lungo termine.


Ogni idea di stretta economica, di exit strategy dallo stimolo espansivo, va abbandonata perché la storia della Grande Depressione, e quella più recente del Giappone, rischiano di ripetersi, oggi, in America. «Coloro che non imparano dalle lezioni della storia tendono a ripeterla», sosteneva il filosofo George Santayana, con un concetto tanto ovvio quanto, spesso, sfuggente alla mente della politica. Il ripetersi della "storia di allora" sarebbe devastante perché il ruolo trainante degli Usa sull'economia planetaria resta forte abbastanza per innescare il ripetersi di una crisi globale, capace di travolgere i mercati maturi. Per questo la leva monetaria non basta. Dovrà essere accompagnata da una nuova politica impositiva che potrà apparire impopolare, ma che è, in realtà, l'abc di ogni economista specializzato in finanza pubblica. Il principio è noto. Una bassa aliquota marginale accompagnata dall'ampliamento della base impositiva, attraverso l'eliminazione di esenzioni specifiche, è la via migliore per aumentare il gettito.


Anche in Italia, per inciso, sarebbe prioritaria una riforma fiscale, che spostasse l'onere delle imposte dal lavoro e dalle imprese ai patrimoni, ma l'ambizioso progetto del ministro Tremonti sembra per il momento accantonato.
Torniamo al mondo. La storia ci aiuta una volta di più. La lezione del 1986, infatti, suggerisce proprio un piano fiscale di quel tipo. Purtroppo l'amministrazione di Barack Obama promette di muoversi nella direzione opposta, aumentando l'aliquota marginale dal gennaio 2011. Una mossa dal sicuro impatto politico, ma lontana dalle esigenze di un'economia in bilico fra debole ripresa e rischio di violenta ricaduta. Impopolare apparirà anche l'idea di dare un colpo di freno alle smanie iper-regolatrici del settore finanziario, ma anche questo è necessario per dare vigore a una spinta che non c'è più.


I rimedi qui suggeriti non sono novità nella dottrina economica. Non c'è nessuna intuizione geniale dietro una ricetta che è solo il prodotto di uno scenario ora sgravato dalle nebbie dei mesi passati. L'immagine che emerge oggi, con una nettezza mai vista prima, traccia il rischio di un ritorno in recessione e impone l' esigenza di evitarlo utilizzando, fin d'ora, tutte le medicine possibili. Politica monetaria, fiscale e delle regole, da distribuire subito e nella dose giusta. Il momento è questo, la quantità dovrà essere massiccia. Altrimenti basterà tornare alle cronache della Grande Depressione per leggere scenari di un destino ancora possibile.

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