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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 07:52.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2010 alle ore 08:50.
La presidenza della Consob rappresenta da sempre una delle partite più impegnative del grande campionato delle nomine. Chi la guida diventa arbitro delle sfide per il controllo delle società quotate, crocevia delle regole che ne governano le attività, passaggio obbligato dei rapporti con i magistrati impegnati nelle inchieste sulla criminalità economica. Non a caso negli ultimi sette anni è stata guidata da uno dei grand commis di stato più esperti nella navigazione delle rotte in cui si incrociano finanza e politica: Lamberto Cardia, che in precedenza è stato commissario altri sei anni. La successione a Cardia è un nodo difficile da sciogliere, ma il ritardo nella scelta comincia a diventare imbarazzante.
Tanto più che per due volte la decisione era pronta per l'annuncio definitivo. Le norme prevedono la designazione del candidato da parte del consiglio dei ministri, su proposta del presidente del consiglio. Poi la palla passa alle commissioni di camera e senato per un parere obbligatorio e non vincolante, prima che la designazione venga inviata alla presidenza della repubblica per la firma del decreto di nomina. Il passaggio decisivo, quello in consiglio dei ministri, era previsto inizialmente il 30 giugno. Ma non è andata così. Né l'operazione è andata in porto il 4 agosto, prima della pausa estiva.
In entrambi i casi l'investitura era per Antonio Catricalà, l'attuale presidente dell'Autorità Antitrust, garante della concorrenza. Suo grande elettore è lo stesso che in passato ha avuto un ruolo determinante nella nomina di Cardia: il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. Proprio Letta ha garantito l'appoggio convinto di Silvio Berlusconi, cui si è aggiunto il sostanziale via libera del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Non è bastato perché lo spostamento di Catricalà rende necessaria l'intesa per la sua sostituzione. E l'intesa risulta una sorta di missione impossibile perché per l'incarico al vertice dell'Antitrust hanno voce in capitolo i presidenti di Camera e Senato, cioè risulta indispensabile l'accordo con Gianfranco Fini.
Ecco perché lo scontro tra Fini e i partiti di governo blocca la designazione di Catricalà, lasciando la Consob senza presidente perché Letta lo ritiene il candidato ideale. Per questo insiste, senza alcuna intenzione di modificare la decisione presa. Quanto tempo durerà lo stallo? Difficile dirlo. Altrettanto difficile è che Fini riesca realmente ad avere voce in capitolo sulla presidenza dell'Antitrust, anche perché può già contare su uno dei commissari, Salvatore Rebecchini. Si apre, di conseguenza, una fase d'incertezza che ha più conseguenze. Un aspetto, paradossale, è la ritrovata vitalità della stessa Consob. Pur ridotta a tre soli componenti su cinque (oltre al presidente manca anche un commissario), la commissione si sta muovendo con decisione, quasi che venuto meno Cardia abbia prevalso un certo interventismo.