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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2010 alle ore 08:55.
Poche immagini dall'infinito canale che tv, web, YouTube, iPad riversano ogni giorno davanti ai nostri occhi, turba più dei visi caravaggeschi dei minatori cileni, sepolti in attesa di salvezza. Uomini nudi per combattere il calore oppressivo, l'umidità penetrante, la soffocante claustrofobia. Le cronache parlano di acqua ricavata dai serbatori usati di solito per raffreddare le macchine, cibo razionato, medicine che servono e si dovranno far calare pian piano, senza che ulteriori frane aggravino la situazione.
Tra i lavoratori in pericolo un asso della nazionale cilena di una volta, Lobos, che ora condivide l'ansia dei suoi compagni. Fuori dalla miniera i familiari, prima sconvolti dall'angoscia, poi felici perché i loro cari sono vivi, infine di nuovo stretti dall'attesa che sarà lunga e grave. I nuovi media, la tecnologia che ormai ci permette di vedere tutto, ovunque, in diretta, ci rimanda ai versi lontani del poeta Blake «and was Jerusalem builded here among these dark Satanic mills», davvero è possibile costruire la Gerusalemme umana nella fatica indiavolata sopra e sotto la terra? I pensieri e le preghiere di milioni di noi, in questi giorni, con i minatori del Cile.