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Commenti e Inchieste

La verità nella terra di mezzo

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2010 alle ore 08:52.

«Sei il padrone delle tue parole. E ne sei responsabile». Niente anonimato su The Well: era la regola decisa dal fondatore Steward Brand. Biologo a Stanford, affascinato dalla cultura dei nativi americani, promotore del Whole Earth Catalogue, la rivista cult dei ragazzi, un po' hippie, che andavano a vivere nelle comuni rurali, Steward Brand è stato anche un pioniere delle conversazioni in rete. Era il 1985 quando nacque The Well, il primo e per anni il più influente luogo di discussione online del mondo.

Il concetto stesso di "comunità virtuale" fu coniato su The Well da Howard Rheingold, grande interprete della rete. Partecipavano alle discussioni autori come Kevin Kelly, poi direttore di Wired, e John Perry Barlow, autore dei Grateful Dead e poi fondatore della Electronic Frontier Foundation. Intellettuali che venivano dalla controcultura degli anni Sessanta, spinti da un'utopia libertaria, vedevano nelle conversazioni in rete la possibilità per contribuire all'informazione. E decisero che non sarebbe stata anonima. Per garantirne la qualità. Attraverso la trasparenza e la responsabilità individuale.

Mentre a Sausalito, California, nasceva The Well, Mark Zuckerberg, oggi leader di Facebook, aveva meno di un anno. Sergey Brin e Larry Page, i fondatori di Google, avevano 12 anni. E Julian Assange, capo di Wikileaks, aveva 14 anni. Molti loro attuali utilizzatori non erano nati. Il mito fondativo, utopistico e dunque intellettualmente disciplinato, della rete sarebbe stato un caposaldo più o meno consapevole della loro cultura. Mescolato con infiniti altri pensieri, pratiche e concetti che la rete avrebbe portato alla luce, il tema della trasparenza dell'informazione sarebbe restato uno dei motivi della loro azione imprenditoriale e culturale.

Ma poiché nella rete, come nella società, la logica della complessità prevale sulla linearità delle affermazioni di principio, la trasparenza ha finito per andare talvolta in conflitto con altri principi. Google e Facebook hanno più volte richiamato il principio della trasparenza per rintuzzare le accuse mosse loro dai difensori della privacy. Assange – che con Wikileaks consente di pubblicare documenti riservati in nome della trasparenza – è stato accusato di non essere trasparente nei modi con i quali la sua organizzazione si finanzia. Il Wall Street Journal ha affrontato la vicenda e approfondito un dibattito, di cui da vari mesi già il Sole 24 Ore discute le tesi. Ne sono scaturite polemiche ma anche discussioni costruttive. Come quella che si è sviluppata tra i partecipanti alla mailing-list di Nexa, il centro di ricerca su internet e la società del Politecnico di Torino. Proprio da loro è giunta una notizia: su un altro servizio di pubblicazione di documenti riservati, Cryptome, è emerso che la Wau Holland Foundation, che sostiene Wikileaks, pubblicherà una rendicontazione precisa dei suoi finanziamenti entro fine agosto.

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Tags Correlati: Carmelo Fontana | Electronic Frontier Foundation | Google | Grateful Dead | Guido Scorza | Howard Rheingold | Internet | John Perry Barlow | Larry Page | Mark Zuckerberg | Nexa | Sergey Brin | Stati Uniti d'America | Wau Holland Foundation | Wikileaks

 

Questo non porrà fine alle polemiche, soprattutto se si continueranno a confondere i diversi piani della discussione: il sistema dell'informazione, i conflitti di potere, le questioni di principio.

Carmelo Fontana, giurista, ricercatore a Stanford e imprenditore, su Nexa, ha invitato a distinguere tra la trasparenza necessaria per sapere chi finanzia un giornale e chi un sito come Wikileaks che registra solo documenti. In effetti, il caso della pubblicazione dei documenti sulla guerra in Afghanistan ha dimostrato che nel sistema dell'informazione si giocano diversi ruoli. I giornali – in quel caso New York Times, Guardian e Der Spiegel – hanno le persone di esperienza necessarie a verificare le notizie e a raccontarle nel modo più fruibile per il pubblico. La loro funzione è strategica per la qualità dell'informazione e i loro metodi di lavoro, proprietà e autori sono e devono essere pienamente trasparenti. Le fonti che hanno voluto rendere noti quei documenti riservati, invece, vogliono restare anonime. Wikileaks difende il loro anonimato dal punto di vista tecnico e organizzativo.

La piattaforma infatti garantisce la trasmissione crittografata di documenti a un piccolo gruppo, molto riservato, di collaboratori che non vuole conoscere la fonte. A quel punto, poiché, come ha spiegato Assange, anche al Sole 24 Ore, Wikileaks può fare solo una verifica sommaria dell'autenticità dei documenti, ha pensato che per una pubblicazione di questa delicatezza era meglio coinvolgere i giornali. Il risultato è stato discusso nel merito abbondamentemente. Il metodo è stato innovativo. Il problema è stato risolto con una scelta pragmatica e con la collaborazione tra i diversi giocatori del sistema dell'informazione.

La discussione è più ampia e complicata se si va alla dimensione del conflitto di potere. Non mancano i governi che tentano di regolamentare la rete, come notava sempre su Nexa Stefano Quintarelli, imprenditore della rete. Ma, insieme a Guido Scorza, avvocato, da tempo osserva quanto sia difficile per politici che non conoscono le dinamiche della rete, intervenire efficacemente. Sicché chi agisce in rete può subirne le conseguenze o approfittarne. Wikileaks, da questo punto di vista, si trova in una sorta di terra di mezzo: combatte per la trasparenza dei governi pubblicando documenti riservati; e logicamente è quindi combattuta da chi vuole che quei documenti riservati restino tali. Servizi segreti, servizi di sicurezza delle aziende, governi. Non per niente Assange si muove e si guarda intorno come se temesse sempre di essere seguito da qualche avversario nascosto nell'ombra. E non per niente alcuni dei suoi finanziatori non vogliono comparire in pubblico. Ma per avere più finanziamenti e combattere meglio la sua battaglia Wikileaks deve accrescere la sua notorietà. E man mano che diventa più nota si confronta con le regole. Come notava il professor Arturo Di Corinto, sempre su Nexa, Wikileaks è finanziata dalla tedesca Wau Holland Foundation, è registrata come testata giornalistica in Svezia, è una biblioteca in Australia, è una fondazione in Francia e una charity in Usa. Si destreggia. Ma in modo sempre più complicato.

Questo la espone a qualche discussione, appunto, sui princìpi. Che in rete peraltro si risolvono più con la pratica che con la teoria. È il suggerimento, per esempio, di Lawrence Lessig, avvocato, uno dei grandi eroi della cultura internettiana, che ha scritto su The New Republic un articolo problematico sul principio della trasparenza assoluta. In realtà, la storia della rete sembra scritta piuttosto da un insieme di azioni, utopie, conflitti, errori e invenzioni. Nel quale giocano un ruolo importante le regole che le persone si danno autonomamente. Come testimonia l'esperienza di Stewart Brand: la qualità dell'informazione discende dalla responsabilità di chi la produce.

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