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Un piano di salvataggio con più costi che utili

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2010 alle ore 09:18.
L'ultima modifica è del 31 agosto 2010 alle ore 09:20.

A circa tre mesi dal piano di salvataggio europeo, l'Fmi valuta positivamente l'azione per il risanamento portata avanti dalla Grecia. In particolare, il Fondo apprezza la riforma del sistema pensionistico, già approvata dal parlamento, e quella del mercato del lavoro, in corso d'approvazione. Anche Spagna e Irlanda hanno approvato importanti riforme strutturali.

È dunque venuto il momento di chiedersi se questi primi risultati siano sufficienti a promuovere il piano europeo e, quindi, se debbano essere smentite le opinioni di chi aveva suggerito la necessità di una ristrutturazione ordinata del debito, insieme a un diverso meccanismo di solidarietà nei confronti dei paesi in difficoltà e di supporto al loro sistema bancario. Per rispondere a questa domanda dovremmo provare ad applicare un'analisi costi-benefici.

Per semplicità ci concentriamo sulle conseguenze del piano sulla Grecia. Il pericolo di un contagio dovuto a una ristrutturazione ordinata del debito greco è reale, ma probabilmente molto contenuto, vista la ridotta dimensione del debito in rapporto agli asset del sistema bancario europeo. Inoltre, il sistema europeo delle banche centrali ha strumenti per intervenire in caso di difficoltà di un gruppo bancario. Infine, non prendiamo in considerazione il rischio morale, generato dalle garanzie più o meno implicite sul debito sovrano, che potrebbe alimentare una generale sottovalutazione del rischio e nuove crisi future.

La riduzione immediata del deficit, la stabilizzazione fiscale e, quindi, la progressiva riduzione del debito pubblico costituiscono il principale obiettivo del piano di salvataggio europeo. L'Fmi conferma che la Grecia ha conseguito una riduzione del deficit e, contestualmente, un aumento del debito, come previsto dal programma. L'aumento dell'indebitamento della Grecia e del peso degli interessi, unito al prolungarsi della recessione, pongono una seria ipoteca sulla sostenibilità del debito pubblico, ma una valutazione precisa è ancora prematura. In ogni caso, la riduzione del deficit e il varo di alcune riforme strutturali sono senz'altro da annoverare tra i benefici del piano di salvataggio. Si conferma che la Ue (e la minaccia d'espulsione dal sistema monetario) può esercitare una notevole disciplina sulle politiche degli stati.

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Tags Correlati: Commissione Disciplinare | Fmi | Grecia | Irlanda | Politica dell'Unione Europea | Spagna

 

Quali i costi? I paesi europei hanno finanziato la Grecia con 80 miliardi di euro a tassi agevolati (l'Fmi ha contribuito con ulteriori 30 miliardi). Questo finanziamento comporta una forte assunzione di rischio (di default) per i paesi europei, oltre al costo che deriva da un rendimento inferiore a quello offerto sul mercato per investimenti equivalenti. Inoltre, il piano non ha fugato i timori dei mercati circa il rischio di un possibile default, cosicché la Grecia ha oggi un costo di servizio del debito molto elevato: per titoli decennali la differenza di rendimento annuale tra obbligazioni greche e tedesche è di circa il 9 per cento.

Se i mercati avessero torto, e sovrastimassero le probabilità di un default della Grecia, l'assunzione di rischio da parte dei paesi europei sarebbe inferiore a quella da noi ipotizzata. In questo caso, il costo di servizio del debito greco sarebbe eccessivamente elevato e il piano comporterebbe un enorme trasferimento di risorse dalla Grecia alle banche europee e, più in generale, a tutti i possessori di obbligazioni greche. In questo scenario, il piano europeo sarebbe di dubbia efficacia perché comporterebbe un rientro fiscale molto oneroso.
Se il mercato, al contrario, avesse ragione, il piano servirebbe solo per comprare un po' di tempo alla Grecia prima che sia costretta a ristrutturare il proprio debito. Si potrebbe discutere circa l'eventualità che le riforme strutturali già approvate, o in via di approvazione, sarebbero state possibili senza il supporto del piano europeo. Ma è fuori dubbio che, in questo scenario, assisteremmo a un sostanziale trasferimento di risorse dal bilancio dei paesi europei a tutti coloro che hanno finanziato la Grecia negli ultimi anni. Tra questi, principalmente, le banche europee.

Il fatto che la Grecia, piuttosto che la Spagna o l'Irlanda, non abbiano, ad oggi, ristrutturato il proprio debito non smentisce i dubbi sui costi-benefici del piano di salvataggio. Inoltre, qualsiasi entità, anche se insolvente in rapporto alla logica di mercato, può evitare il fallimento grazie all'estensione di linee di credito illimitate da parte delle istituzioni pubbliche. Alcuni commentatori sostengono che la politica europea sia servita a disciplinare e indirizzare i governi nazionali, e a dissuadere i mercati dalla tentazione di scatenare attacchi speculativi. Tali considerazioni non consentono di valutare pienamente quale sia il costo sociale di tale operazione, per i paesi debitori e per i contribuenti dei paesi europei, anche senza prendere in considerazione le conseguenze del rischio morale.

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