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Il terziario è inutile anzi indispensabile

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2010 alle ore 09:08.
L'ultima modifica è del 31 agosto 2010 alle ore 09:24.

Tempo fa gli economisti avevano accantonato l'erronea teoria di Adam Smith secondo la quale l'industria manifatturiera dovrebbe essere prioritaria nell'economia di un paese. Nel secondo volume della Ricchezza delle nazioni Smith condanna infatti il lavoro degli «ecclesiastici, degli avvocati, dei fisici, dei letterati di ogni genere; dei giocatori, dei buffoni, dei musicisti, dei cantanti e dei ballerini d'opera, eccetera», considerandolo improduttivo. Ciò nonostante, il feticismo per l'industria manifatturiera si ripresenta immancabilmente e, sulla scia dell'ultima crisi, gli Stati Uniti ne sono la sua più recente manifestazione.


Nella Gran Bretagna della metà degli anni 60, Nicholas Kaldor, economista di Cambridge,lanciò l'allarme sul processo di «deindustrializzazione». Secondo la sua teoria, lo spostamento, in atto al tempo, del valore aggiunto dall'industria manifatturiera ai servizi avrebbe provocato gravi danni in quanto l'attività manifatturiera, al contrario dei servizi, seguiva un processo di avanzamento tecnologico. Riuscì persino a spingere il laburista Callaghan, ministro del Tesoro, a introdurre nel 1966 una tassa sull'occupazione selettiva.
L'argomentazione di Kaldor si basava sulla premessa, sbagliata, per cui i servizi non erano in grado di progredire dal punto di vista tecnologico. Un'idea in contrasto con gli enormi cambiamenti tecnologici dell'attività di commercio al dettaglio, e, successivamente, dell'industria delle tlc, che portò in tempi brevi al servizio FedEx, al fax, ai telefoni cellulari e a internet.

Si è andati poi addirittura oltre con la teoria per cui la selezione delle principali attività economiche dipenderebbe dalla presunta innovazione tecnologica, dando quindi priorità alla produzione dei semiconduttori rispetto alla produzione delle patate. Salvo scoprire che i semiconduttori vengono applicati ai circuiti in modo primitivo e con noncuranza, mentre la produzione delle patate avviene attraverso un processo altamente automatizzato.

Il dibattito su "produzione di semiconduttori contro produzione di patate" ha poi sollevato un altro aspetto. Molti di quelli a favore dei semiconduttori sostenevano che in base al prodotto lavorato si determina la prospettiva di diventare un ignorante produttore di patate o un brillante modernizzatore, produttore di semiconduttori. Ho definito questa teoria come un errore quasi-marxista. Proprio Marx enfatizzava infatti il ruolo essenziale dei mezzi di produzione. Da parte mia, credo invece che si potrebbero produrre semiconduttori, scambiarli con patatine da sgranocchiare davanti alla tv diventando degli idioti. O al contrario, si potrebbero invece produrre patatine, scambiarle con semiconduttori per computer e diventare maghi del pc! In breve, è ciò che si "consuma" non quello che si produce a influenzare il tipo di persona che si diventerà e il modo in cui il prodotto influirà sull'economia e la società.

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Tags Correlati: Adam Smith | Imprese | Inghilterra | John Zysman | Nicholas Kaldor | PROJECT SYNDICATE | Stephen Cohen | Università di Berkeley

 

Ignari dell'ampio dibattito britannico degli anni 60 sulla "deindustrializzazione", due docenti di Berkeley, Stephen Cohen e John Zysman, hanno dato vita nel 1987 a un dibattito simile negli Stati Uniti con il loro libro Manufacturing Matters, secondo il quale senza la produzione manifatturiera la sopravvivenza del settore dei servizi sarebbe insostenibile.

Cohen e Zysman sostenevano che la produzione manifatturiera era strettamente legata ai servizi come «l'irroratore ai campi di cotone, il produttore di ketchup ai campi di pomodoro», e che se «si trasferisce la fabbrica di pomodori all'estero... si chiude o si trasferisce all'estero anche l'impianto per la produzione di ketchup... C'è poco da discutere». A tali affermazioni rispondo: «Mentre leggevo il profondo concetto espresso sulla fabbrica di pomodori e l'impianto per la produzione del ketchup, stavo gustando la mia marmellata preferita d'arance vintage della Crabtree & Evelyn. Di certo, non mi è mai passato per la testa che l'Inghilterra avesse una propria produzione di arance».

Se queste teorie sono decadute in tempi brevi in quanto rispecchiavano per lo più un'ossessione accademica nei confronti della produzione manifatturiera, non si può dire lo stesso per il recente ritorno del feticismo per l'attività manifatturiera negli Usa e in Gran Bretagna. L'ultima ondata a sostegno del settore manifatturiero è derivata dalla crisi attuale, in particolar modo nel settore finanziario, e ha pertanto molte più probabilità di sopravvivere. Il feticismo per l'attività manifatturiera è in realtà particolarmente dilagante negli Usa, dove i congressisti democratici sono arrivati ad allearsi con i lobbisti del settore manifatturiero per approvare un decreto che protegga il settore e fornisca sovvenzioni al fine di aumentare la quota della produzione manifatturiera all'interno del Pil.

A causa della crisi finanziaria, molti politici hanno accolto l'idea per cui, in una forma di regressione virtuale ad Adam Smith, i servizi finanziari sarebbero improduttivi, e persino controproduttivi, e dovrebbero pertanto essere ridotti gradualmente tramite un intervento del governo. Ciò lascia a intendere che il settore manifatturiero dovrebbe invece essere allargato. Il che non ha senso. Anche se si volessero ridurre i servizi finanziari, si potrebbe comunque mantenere la moltitudine di servizi non finanziari.

I motori diesel e le turbine non sono le uniche alternative. Molti altri servizi, come la terapia professionale, l'assistenza infermieristica e l'insegnamento sono ugualmente a disposizione. E non ci sono ancora prove a sostegno della tesi che incoraggia uno spostamento verso il settore manifatturiero.
© PROJECT SYNDICATE 2010

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