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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2010 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 01 settembre 2010 alle ore 09:22.
Come titolava ieri Il Sole 24 Ore, «il liberismo rialza la testa» o almeno ci prova. Nel dibattito sulla politica economica in tanti si sforzano di argomentare che il riacutizzarsi della crisi negli Usa dimostrerebbe l'inefficacia delle politiche fiscali espansive, proposte da Obama, e la necessità di avanzare interpretazioni delle cause della crisi legate all'intervento pubblico in economia. Al tempo stesso, affermano che alcuni segnali di ripresa visibili in Europa già confermerebbero l'utilità delle politiche di austerità. Ma queste tesi - sostenute anche da Alberto Alesina nel suo articolo «Cara Europa il rigore è amico» (Il Sole 24 Ore, 28 agosto) - appaiono fragili.
Intanto, come argomentato in un recentissimo saggio di Alan Blinder e Mark Zandi, è difficile negare che senza le politiche espansive la situazione statunitense sarebbe assai peggiore. A ben vedere, il riacutizzarsi della crisi conferma che nessuna grande area economica sta prendendo il posto degli Usa nel trainare la domanda mondiale e che è necessario insistere con le politiche espansive. Ma mostra anche che non si esce dalla crisi senza intervenire sulle sue cause più profonde, sanando il forte squilibrio presente nei paesi industrializzati, Stati Uniti in testa, tra crescita dell'offerta potenziale e ristagno della capacità di consumo dei lavoratori. Uno squilibrio che è principalmente l'esito della crescente sperequazione nella distribuzione dei redditi cui abbiamo assistito negli ultimi lustri.
Per quanto attiene all'Europa, il principale argomento dei fautori dell'austerità è costituito dalla ripresa dell'economia tedesca trainata dalle esportazioni. Ma è ben arduo ritenere che si tratti di un risultato delle politiche restrittive del governo Merkel. Piuttosto, negli ultimi mesi - come ha rilevato Sergio Cesaratto su economiaepolitica.it - la Germania ha tratto vantaggio dal deprezzamento dell'euro, ma anche dalla dinamicità delle importazioni statunitensi dovuta proprio alle politiche espansive di Obama. E, comunque, questa ripresa tutta "opportunistica" delle esportazioni tedesche non serve a trainare lo sviluppo europeo e soprattutto ad arginare gli squilibri e gli impetuosi processi di divergenza in atto nell'eurozona.