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Le solite guerre ai vertici del Fondo

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2010 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 01 settembre 2010 alle ore 09:28.

È in atto al Fondo monetario uno scontro dai toni molto duri per le abitudini delle ovattate stanze sulla 19ª strada di Washington. Scontro che contrappone gli Stati Uniti e l'Europa e ha per oggetto apparentemente le quote di voto e le poltrone in consiglio che vanno riassegnate a favore delle economie emergenti, ma che può avere sulle prospettive della diplomazia economica ripercussioni che vanno al di là degli equilibri all'interno dell'Fmi.

La nuova influenza degli emergenti sull'economia mondiale dovrà riflettersi, ha concordato il G-20, in uno spostamento di quote del 5% a scapito delle potenze tradizionali e, fra queste, soprattutto dei paesi minori europei il cui peso è drasticamente diminuito rispetto all'assetto ormai ultrasessantennale di Bretton Woods. La somma di Belgio e Olanda sorpassa la Cina e ciascuno dei due conta più di India e Brasile. I paesi scandinavi sono fra gli altri beneficiari della vecchia ripartizione.

Non solo, ma gli europei occupano tuttora otto (nove con la Russia) delle poltrone nel consiglio esecutivo che regge il Fondo. Entro il 31 ottobre, quando scade il consiglio attuale, va trovato un accordo sulla ridistribuzione e gli Usa stanno facendo forti pressioni sull'Europa perché lasci spazio agli emergenti: prima hanno bloccato una risoluzione che avrebbe garantito lo status quo, poi, per forzare una decisione, hanno proposto il ritorno, come da statuto, a 20 seggi (dagli attuali 24), il che avrebbe il paradossale risultato di eliminare i posti di India, Brasile, Argentina e uno dei due seggi africani, cioè i quattro con minor potere di voto. Una "bomba atomica", secondo uno dei negoziatori. Emergenti ed europei, d'altro canto, recriminano che gli Stati Uniti non intendono rinunciare al proprio potere di veto (le decisioni più importanti richiedono una maggioranza dell'85% e Washington ha il 16), né all'intesa informale per cui spetta a loro la guida della Banca mondiale (e agli europei l'Fmi).

Di fatto, l'allineamento degli Usa con i grandi paesi emergenti è un altro passo della linea avviata con l'allargamento del G-8 al G-20 che ha diluito la presenza europea e alzato il peso giustamente accordato ai Bric. L'Europa sembra combattere una battaglia contro le ragioni della storia e comunque in cui gli interessi di singoli paesi prevalgono su quello generale. Cinque anni fa, in un'intervista al Sole 24 Ore, Lorenzo Bini Smaghi, della Banca centrale europea, propose il seggio unico europeo, o almeno per Eurolandia, all'Fmi. L'idea fu giudicata prematura. Nelle discussioni europee, è stata ripresa di recente ma non ha ricevuto finora sostegno sufficiente.

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Tags Correlati: Banca Mondiale | Bce | Brasile | Europa | Fmi | G8 di Genova | India | Lorenzo Bini Smaghi | Politica economica | Stati Uniti d'America |

 

La confusione con cui è stato gestito dall'Europa il caso Grecia, anche riguardo al coinvolgimento del Fondo, è un altro segno di come invece sia attuale, anzi, urgente. Il seggio unico consentirebbe all'Europa di far spazio agli emergenti e al tempo stesso coaugulare voti fino al 30 per cento. L'alternativa è una progressiva, ineluttabile, ritirata da posizioni che non le spettano più.

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