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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 09:26.
L'ultima modifica è del 03 settembre 2010 alle ore 09:21.
C'è un abisso culturale tra le Fed di Ben Bernanke e quella di Alan Greenspan di 5 anni fa. Ma c'è un salto anche tra il Bernanke di oggi e quello del gennaio 2006, appena insediatosi alla presidenza della banca centrale con la presunzione che la politica monetaria – i tassi d'interesse e soprattutto il dosaggio della liquidità - potesse far fronte ad ogni crisi. «In genere – ha dichiarato ieri il presidente della Fed – le regole finanziarie e i controlli, più che la politica monetaria, offrono strumenti più adatti per correggere i problemi del credito».
Un linguaggio rivoluzionario, se si considera che è trascorso appena un lustro da quando il suo predecessore dichiarò esattamente l'opposto: «In genere – spiegò Greenspan il 5 maggio 2005 – le regole del mercato hanno dimostrato di controllare i rischi molto meglio di quelle dei governi».
L'abisso culturale è stato creato dalla crisi del credito e dalla conseguente recessione. Ma, a differenza di Greenspan che ha sempre cercato di giustificare sè stesso, Bernanke ha formulato ieri, esplicitamente per la prima volta, un severo giudizio sul passato e anche una sorta di autocritica: «Prima della crisi, la Fed è stata lenta nel capire e nel correggere gli abusi dei prestiti subprime». È stato l'immenso «sistema bancario ombra» che s'è lasciato crescere senza preoccuparsi di regolare il livello d'indebitamento, i rischi e la patrimonializzazione delle imprese a far esplodere la crisi: non gli hedge fund, ha precisato Bernanke. E anche le bolle speculative si possono riconoscere e forse circoscrivere: non con i tassi d'interesse, ma raccogliendo tutte le informazioni quantitative necessarie per individuare le fonti di rischio.