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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2010 alle ore 09:53.
L'ultima modifica è del 04 settembre 2010 alle ore 08:07.
Il Cato Institute distribuisce periodicamente i suoi Cato policy report: strumento propagandistico a vantaggio dei sostenitori, ma anche sede di dibattiti apprezzati.
Jason Taylor (Central Michigan University) e Richard K. Vedder (American Enterprise Institute), quest'ultimo uno dei grandi conoscitori delle serie storiche del mercato del lavoro negli Stati Uniti, esprimono una tesi paradossale ma fondata sull'evidenza storica. Se i pacchetti di stimolo si risolvono spesso e volentieri in fallimenti (rispetto all'obiettivo dichiarato di promuovere la ripresa), le contrazioni che fanno seguito, i de-stimoli, invece non necessariamente frenano la crescita.
Vedder aveva scritto nel 1991 un altro paper, assieme a Lowell Galloway, in cui spiegava come il periodo 1945-1947 negli Stati Uniti abbia visto una forma straordinaria di contrazione fiscale, dopo la fine della seconda guerra mondiale, senza quegli effetti negativi che la dottrina keynesiana (in quegli anni pure imperante) avrebbe previsto.
C'è stata una depressione nel 1946? No, non c'è stata. Eppure, se fosse avvenuta sarebbe stata l'evento più previsto della storia: la fine della guerra e la conseguente drammatica diminuzione della spesa pubblica (84 miliardi di dollari nel 1945, meno di 30 miliardi nel 1946) non produsse alcuna voragine nell'economia americana. Anzi, in presenza di una politica fiscale austera e coscienziosa (volta a ripagare il debito pubblico), gli impiegati nel settore privato aumentarono anzi vistosamente e la pace ritrovata fu incorniciata da una nuova fase di sviluppo.
Per Taylor e Vedder, l'evidenza dimostra la sostanziale inutilità degli stimoli: quello giapponese degli anni Novanta, quelli di Bush nel 2001 e nel 2008, ora quello di Obama. «Il governo che stimola di più è quello che tassa e spende di meno». Una buona notizia per l'Europa: le paure sugli effetti depressivi dell'austerità pubblica sono largamente esagerate.