Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2010 alle ore 08:37.
Gli unici giorni in cui è scontento, sono proprio questi del Ramadan, perché «mi fissano gli appuntamenti alle due o alle quattro di notte. Ecco perché sono scappato in Italia e ci rimarrò fino al 10». Per tutto il resto, Gianluca Cali, 41 anni, è entusiasta della zona franca di Ras Al Khaimah, Emirati Arabi Uniti. Con la sua Euro Gulf Business Bridge, ci si è stabilito nel 2008. Un anno difficile, per scegliere gli Emirati: di lì a poco, sarebbe scoppiato il bubbone Dubai World che avrebbe appannato lo smalto dei suoi grattacieli nel deserto.
Ma Gianluca Cali, che fa da testa d'ariete per conto delle aziende che esportano materiali per l'arredo e il design, a Ras Al Khaimah ha investito perché guardava al di là della crisi: «Non si può pensare di internazionalizzarsi stando seduti su una poltrona in Italia, bisogna andare sul posto a cercare contatti e aggredire i mercati». Cosa l'ha convinto ad alzare la saracinesca all'interno di una Zona economica speciale? «La possibilità di essere proprietario al 100% della mia attività, invece di ricorrere a una joint venture con un'impresa locale. Eppoi infrastrutture funzionali, professionalità elevate e la presenza di altri tremila imprenditori provenienti da tutto il mondo: facile che capiti di fare affari insieme».
La zona franca di Ras Al Khaimah quest'anno festeggia 10 anni di attività con 875 nuove registrazioni soltanto tra gennaio e giugno e 106 nazionalità rappresentate. Poche, però, le imprese italiane presenti. Qui, come nel resto delle decine di zone economiche speciali sparse per il mondo.
Le Free trade zone sono quelle aree, all'interno di uno stato, in cui il governo fissa condizioni agevolate per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, dalla produzione al commercio, dallo stoccaggio ai servizi di consulenza. Sul piatto, per attirare gli investimenti stranieri, ci sono esenzioni fiscali, riduzione dei dazi sulla riesportazione, sgravi sui contributi per i lavoratori assunti, piena proprietà dell'impresa senza obbligo di partner locali. Che il modello funzioni, è fuori discussione: il miracolo cinese è cominciato proprio da oasi come queste, con il delta del Fiume delle Perle in prima fila.
Tracciare una mappa di tutte le zone esistenti è pressoché impossibile. L'ultima ha visto la luce giusto la settimana scorsa in Cina, a Yili, nello Xinjiang, al confine con il Kazakhstan. Fotografare l'insieme della presenza italiana in queste aree anche: sul tema il viceministro per il Commercio estero, Adolfo Urso, ha appena promosso un gruppo di lavoro ad hoc. Restano i feedback di chi le ha scelte, come Gianluca Cali. Che da Perugia inizialmente era sbarcato a Dubai, ma alla fine ha preferito la zona franca di Ras Al Khaimah: «Dubai ne ha più d'una di Free trade zone - racconta - le esenzioni sono le stesse. È che Ras Al Khaimah mi è sembrata più dinamica». Tra i suoi clienti, Cali ha diverse Pmi italiane, che vendono i loro prodotti di nicchia - materiali di alta qualità e design di lusso - agli hotel, alle ville e ai lounge bar che affacciano sul Golfo Persico. E quando vedono i suoi 25 metri quadrati di ufficio nella zona franca spesso si fanno venire l'acquolina in bocca: «L'ultimo a farci un pensiero, sul trasferimento, qui – racconta – è un produttore di scarpe marchigiano». Quale posto migliore? L'emirato confina coi ricchi paesi del Golfo ed è a meno di tre ore di volo dalla locomotiva economica indiana, dall'Iraq in piena ricostruzione e dall'altrettanto promettente mercato iraniano. «Un biglietto aereo di andata e ritorno da qui al Qatar costa solo 40 euro».
Dalla parte opposta del globo, e dal lontano 1958, anche la Farmazona di Giovanni Ferrari ha scelto un'area speciale. Quella panamense di Colon, che a detta dell'authority che la governa è la seconda più grande al mondo. «Di italiani qui ce ne sono solo due o tre», racconta Ferrari, e lo fa con cognizione di causa: per cinque anni è stato presidente dell'Associazione degli utilizzatori della zona franca di Colon. «L'Authority ha sempre fatto poca campagna marketing all'estero – spiega – e fino a un anno fa Colon ha scontato un certo isolamento per l'assenza di un collegamento veloce con la città di Panama». Ora l'autostrada c'è, e Ferrari consiglierebbe questa zona a tutte le piccole e medie imprese che puntano sui mercati sudamericani: «Da qui li si raggiunge tutti, e soprattutto si può giocare di sinergia con gli altri imprenditori presenti a Colon».
È il vecchio tema del cluster, insomma. L'unione che fa la forza: una business community unita non dal settore merceologico, ma dalla vocazione all'export verso una stessa area geografica. Ecco l'altra forza delle zone economiche speciali, al pari delle agevolazioni fiscali. Quale area scegliere? Il magazine «Fdi», di proprietà del Financial Times, ha appena pubblicato la classifica delle migliori 25 Free trade zone del futuro. Vince la Waigaoqiao di Shanghai, grazie alla presenza di oltre 9mila imprese, un terzo di tutte quelle straniere approdate in città. Sette delle prime 25 sono negli Emirati, ma poi ci sono anche autentiche sorprese: come Chittagong in Bangladesh, il Clark freeport delle Filippine, gli Industrial Estates della Thailandia e la Togo Export Processing Zone.
Nella scelta di un'area, però, molto dipende dai potenziali mercati di sbocco dei prodotti, resi ancor più competitivi dall'alleggerimento dei dazi. Ecco dunque che alle imprese italiane interesserà sapere che, nei vicini Balcani, la Macedonia è molto attiva e da marzo a oggi ha aperto ben tre nuove zone franche, che qui si chiamano "di sviluppo tecnologico e industriale". Salgono così a quattro quelle presenti nel paese: Skopje 2 - che si aggiunge a Skopje 1, nata nel 2007 - Stip e Tetovo. I vantaggi non sono di poco conto: imposte sul reddito personale e societario pari a zero per i primi 10 anni (successivamente flat tax sui profitti e Irpef al 10%), esenzione dell'Iva e dei dazi doganali per l'esportazione delle produzioni realizzate nelle zone franche, sovvenzioni fino a 500mila euro per i costi di costruzione, collegamento gratis ai servizi (elettricità, acqua, gas), terreni in concessione fino a 99 anni a prezzi agevolati. Il piatto è abbastanza goloso da aver spinto il nostro ministero dello Sviluppo economico a finanziare la «Settimana delle Pmi italiane in Macedonia», un progetto della Fiera del Levante Servizi che dal 19 al 23 ottobre accompagnerà gli imprenditori italiani proprio a Skopje, in occasione della fiera tecnologica Tehnoma.
L'altra grande area dove si sta concentrando la nascita di nuove zone franche coincide col mercato oggi più sotto osservazione del mondo, l'Africa. Proprio la settimana scorsa la Nigeria ha annunciato la creazione di una nuova area ad hoc affacciata sull'Atlantico, la Lekki Free Zone, a due passi dalla capitale Lagos. Verrà inaugurata a novembre e a disposizione degli investitori stranieri metterà 3mila ettari, con priorità ai progetti legati all'elettronica, ai macchinari, alla farmaceutica e all'arredamento. La notizia però è un'altra, è cioè che il 60% del capitale - 5 miliardi di dollari - necessario per realizzarla arriva dai cinesi. Attraverso la società che controlla le ferrovie, la corporation per le opere di ingegneria civile e il China-Africa Development Fund, infatti, Pechino stende ancora una volta la sua longa manus su uno dei paesi africani più ricchi di materie prime. Non solo: apre alle proprie aziende un varco in uno dei mercati più interessanti del Continente nero. Secondo gli analisti, nei prossimi anni la classe media emergente della Nigeria supererà quella del Sudafrica.
Tra i membri di una zona franca, avere la tessera Vip può in effetti dischiudere un certo vantaggio competitivo. L'Italia, per esempio, ci sta provando in Libia, corteggiato partner dell'Africa del Nord, come dimostra anche la recente visita del leader Gheddafi. Un anno e mezzo fa l'allora ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola sottoscrisse a Tripoli un protocollo per la creazione di una zona franca dedicata alle Pmi italiane. Sarebbe sorta a Misurata, disse in seguito il Governatore della Banca centrale libica al viceministro per il Commercio estero Adolfo Urso. Ma da allora tutto sembra bloccato: il nome Misurata, fanno sapere dal ministero per lo Sviluppo economico, non compare da nessuna parte, tanto che si è ritenuto opportuno non passare alla fase operativa, attendendo una risposta univoca da parte libica. Che non è arrivata nemmeno durante le giornate romane del suo leader.
DA SAPERE La definizione Con il termine Free Trade Zone, o zona economica speciale, si intende un'area, all'interno di uno stato, in cui il governo fissa condizioni agevolate per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, con l'obbiettivo di attirare investitori esteri. I vantaggi offerti, di norma, sono: l'esenzione fiscale (spesso è totale per alcuni anni, e poi si trasforma in parziale) sul reddito societario e, talvolta, anche su quello personale; l'eliminazione dei dazi sulla riesportazione dei prodotti realizzati all'interno dell'area; la concessione di terreni e uffici a prezzi agevolati; la piena proprietà dell'impresa, senza obbligo di ricorrere a una joint venture con un partner locale, come succede nella maggior parte degli investimenti esteri nel resto del paese. A questo si aggiungono infrastrutture già pronte, servizi logistici e fornitura di elettricità, gas, acqua a prezzi agevolati
Gli indirizzi per trovare le Free zone L'associazione mondiale delle zone economiche speciali è online all'indirizzo www.wepza.org. Dal 31 ottobre al 3 novembre, invece, l'area di Ras Al Khaimah - che compie dieci anni - ospiterà l'edizione 2010 della World Free Zones Convention: le informazioni sono su www.freezones.org. Notizie sulle principali zone franche cinesi sono raccolte nel sito www.chineseftz.com, che ne contiene anche un elenco. Per chi guarda all'Egitto, sul sito dell'Autorità generale per gli investimenti esteri www.gafinet.org c'è un intero capitolo dedicato alle Free trade zone del paese. Il Cairo sta puntando su un ampliamento di queste aree, la più famosa delle quali affaccia sul Canale di Suez