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La crisi risparmia la produttività

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 08:55.
L'ultima modifica è del 15 settembre 2010 alle ore 08:52.

Un conto è trovarsi di fronte a una seconda recessione, un altro dover affrontare la prospettiva molto più grave di un decennio andato perduto. Negli Stati Uniti cresce la preoccupazione per la possibilità che la più importante recessione verificatasi dalla Grande depressione abbia danneggiato la capacità di crescita dell'economia. Il timore che gli Usa e altri paesi avanzati possano subire un lungo periodo di crescita al di sotto della media è in realtà fondato. In seguito allo scotto della crisi, le banche hanno già imposto delle restrizioni sugli standard di prestito, e dovranno inoltre sottostare a requisiti di capitale e liquidità molto più rigidi, il che porterà a maggiori difficoltà per ottenere credito bancario.


Una disponibilità più limitata di credito bancario darà costi di capitale più elevati, mentre le piccole e medie imprese, quali principali fonti d'innovazione e di crescita dell'occupazione, ne risentiranno maggiormente. I governi, da parte loro, usciranno dalla crisi con un debito ancor più alto, che comporterà in futuro maggiori imposte, investimenti ridotti e, di conseguenza, tassi di crescita molto più lenti.

Desta preoccupazione anche il formarsi, a causa della crisi, di un nucleo di disoccupati a lungo termine le cui competenze tenderanno ad atrofizzarsi e che finiranno per essere stigmatizzati agli occhi di potenziali datori di lavoro. La disoccupazione strutturale, in continua crescita, porterà a una riduzione dell'input da parte della manodopera e a una minore efficienza. È poi ancora più difficile crescere quando i lavoratori edili e i manager dei fondi d'investimento si trovano a doversi riqualificare come saldatori o infermieri. La discrepanza tra l'offerta di competenze e la richiesta crea un forte rallentamento nella crescita dell'occupazione.

Tutte queste conseguenze si erano già manifestate subito dopo la Grande depressione. Negli Usa il tasso di crescita del prestito bancario rimase pari a zero nel periodo compreso tra il 1933, nel pieno della Grande depressione, e il 1937, periodo successivo alla Depressione e di picco del ciclo commerciale. Gli investimenti subirono un'importante riduzione, mentre lo stock delle apparecchiature e delle strutture nel 1941 risultava inferiore rispetto al 1929.

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Tags Correlati: Alexander Field | General Motors | George Orwell | Mercato del lavoro | Paul Lazarsfeld | Pier Wigan

 

Inoltre, i problemi causati dalla discrepanza tra domanda e offerta ostacolavano, similarmente, il trasferimento delle risorse umane dai settori in declino a quelli in espansione. In Gran Bretagna, dove i minatori costituivano gran parte dei disoccupati, l'espansione dell'industria ingegneristica e dell'industria dei veicoli a motore venne ostacolata dalla carenza di meccanici qualificati.

Ovunque, la disoccupazione a lungo termine divenne estremamente elevata. Si andarono perdendo competenze, mentre il nucleo dei disoccupati fu sempre più stigmatizzato diventando, di conseguenza, sempre più demoralizzato. Un influente studio del 1933 condotto nella cittadina austriaca di Marienthal dal sociologo Paul Lazarsfeld descrisse in dettaglio la situazione, illustrata da George Orwell nel suo The Road to Wigan Pier.

Il risultato fu una ripresa deludente che non portò alla creazione di posti di lavoro. Nel 1937, ovvero dopo quattro anni di ripresa, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti rimaneva fermo al 14%, così come nel 1940, ovvero alla vigilia dell'entrata del paese nella Seconda guerra mondiale. Ma anche in questo contesto ci fu il rovescio della medaglia. La produzione si espanse in modo significativo dopo il 1933, e infatti, tra il 1933 e il 1937 la percentuale annuale di crescita economica Usa era pari all'8 per cento. Tra il 1938 e il 1941 la crescita media aveva raggiunto più del 10 per cento. L'aumento rapido della produzione non affiancata da una crescita altrettanto veloce dei capitali o dell'occupazione sarà sicuramente risultata in una crescita rapida della produttività, il che rappresenta il paradosso degli anni 30. Nonostante il tasso elevato di disoccupazione cronica, di bancarotte aziendali e di continue difficoltà finanziarie, gli anni 30 registrarono la più rapida crescita di produttività di qualsiasi altro decennio della storia statunitense.

Ma come è stato possibile? Come ha dimostrato Alexander Field, studioso di economia, diverse aziende utilizzarono il tempo di fermo causato dalla riduzione della domanda dei loro prodotti per riorganizzarsi internamente. Le fabbriche che, fino a quel momento, avevano utilizzato una fonte unica e centralizzata d'energia, installarono nella produzione una serie di piccoli motori elettrici flessibili. Le ferrovie si operarono per fare un uso più efficiente del materiale rotabile e degli operai. Sempre più aziende crearono dipartimenti per la gestione moderna del personale e laboratori di ricerca interaziendali.

Al momento, diverse aziende sembrano seguire procedimenti simili. La General Motors, che si trova di fronte a una vera e propria crisi esistenziale, ha tentato di trasformare il suo modello di business. Le linee aeree statunitensi hanno riorganizzato sia i beni materiali che il personale, proprio come le ferrovie negli anni 30. Sia le aziende manifatturiere che le aziende dei servizi stanno adottando nuove tecniche informatiche, il corrispettivo moderno dei piccoli motori elettrici, per ottimizzare le catene di fornitura e i sistemi di gestione della qualità.

Pertanto, anche se ci sono buone ragioni per aspettarsi un periodo d'investimenti e crescita dell'occupazione al di sotto della media, non significa che ci sarà un rallentamento della produttività o della crescita del Pil.

La risposta positiva della produttività non è in ogni caso garantita e dovrebbe anzi essere incoraggiata dai policy makers. Se da un lato le aziende piccole e innovative hanno bisogno di avere un accesso facilitato al credito, dall'altro tutte le imprese in generale hanno bisogno di maggiori sgravi fiscali a favore della ricerca e dello sviluppo. La crescita della produttività può inoltre essere stimolata da investimenti pubblici nelle infrastrutture, come suggeriscono gli esempi degli anni 30 della Hoover Dam e della Tennessee Valley Authority.

La crescita della produttività rende possibile un'ampia serie di operazioni. Facilita l'eliminazione del deficit e permette di aumentare la spesa sulla formazione e di finanziare corsi per i disoccupati a lungo termine. Ma anche se, nel contesto attuale, una crescita della produttività è possibile, non si può comunque dare per scontata. I policy makers devono quindi, necessariamente, passare all'azione.

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