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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 15 settembre 2010 alle ore 08:53.
I paesi emergenti si sono lasciati alle spalle la crisi globale degli ultimi tre anni con una facilità che ha sorpreso molti, ma che non è sfuggita agli investitori internazionali. Nel 2010, secondo le previsioni di Hsbc, questi paesi cresceranno più del doppio di quelli industriali (6,9% contro 2,4) e nel 2011 più del triplo (6,2% contro 1,9). Oggi, secondo Frances Hudson del gestore di fondi scozzese Standard Life Investments, offrono non solo prospettive di crescita migliori, ma anche minor rischio politico dei paesi avanzati, una clamorosa inversione di ruoli rispetto agli ultimi decenni, grazie anche all'adozione, da parte di molti governi, di politiche economiche avvedute.
Tra i fattori che favoriscono i nuovi attori dell'economia mondiale ci sono l'aumento del commercio tra di loro, che consente di attutire la domanda più debole dall'Occidente, e la forza dei prezzi delle materie prime.
I flussi netti di capitale privato sono ripresi vigorosamente, diretti soprattutto verso Asia e America Latina, anche se sono lontani dai livelli, probabilmente eccessivi, del 2007. Nei primi mesi di quest'anno, i fondi azionari e obbligazionari dedicati agli emergenti hanno attratto nuovi investimenti per 80 miliardi di dollari. Fra le categorie d'investimenti obbligazionari, quelle in titoli, sia sovrani, sia societari, degli emergenti sono ai primi posti per il rendimento.
Questo enorme afflusso di capitali, un fatto in sé decisamente positivo, ha però anche il potenziale di creare problemi di tipo nuovo per questi paesi, rendendoli in parte vittime del proprio successo. In particolare, presenta una sfida per la stabilità dei prezzi e quella finanziaria. La Cina, che continua a tenere sotto stretto controllo il cambio, nonostante le promesse alla comunità internazionale di voler rivalutare, vede la conseguenza di questi flussi nella possibile formazione di una bolla immobiliare. Altrove, come in Brasile, o in Cile, l'apprezzamento della valuta è significativo. In Brasile, cresce il costo degli interventi realizzati dalle autorità per frenare la galoppata del real, che sta cominciando a spiazzare l'export delle imprese nazionali, tra le proteste della potente lobby dell'industria paulista. Nello scorso autunno, per arginare questi flussi di capitale, è stata introdotta una tassa del 2% e non è affatto escluso che, dopo le elezioni presidenziali dell'ottobre prossimo, il paese possa mettere mano un'altra volta a forme di controlli sui capitali in entrata. Altrove, c'è la possibilità che vengano introdotte restrizioni quantitative sul credito o venga manipolato il cambio.