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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 09:40.
L'ultima modifica è del 16 settembre 2010 alle ore 10:30.
Secondo le migliori ricostruzioni, la scintilla da cui sono nati i Tea Party è scoccata il 15 febbraio del 2009 nel floor della Borsa di Chicago. Quel giorno, un commentatore tv suggerì che i trader convocassero un Tea Party e gettassero nel fiume i titoli derivati, come protesta per il piano del governo federale di rifinanziare i mutui all'8% delle famiglie che non potevano più pagare le rate della casa. L'appello trovò in realtà per destinatario il 92% di famiglie della classe media che a fatica continuavano a pagare i mutui, una tipica "maggioranza silenziosa" che decise da allora che non era più il caso di rimanere silenziosa.
Nel giro di pochi giorni una moltitudine di Tea Party, con pretesti di ogni tipo ma uniti dallo stesso populismo economico, si diffusero in tutti gli stati. Paradossalmente il primo obiettivo della ribellione nata in Borsa fu l'economia e il sostegno del governo alle banche di Wall Street. Da allora la valanga del risentimento non si è più fermata.
Storicamente i movimenti della destra americana nascevano da politiche sociali associate ai valori tradizionali di fede e famiglia. Ma il Tea Party è quasi esclusivamente un fenomeno di protesta economica. Il motto è «responsabilità fiscale, limiti al governo e mercati liberi». Quando i candidati del Tea Party vengono selezionati nessuna delle 80 domande cui devono rispondere riguarda le questioni sociali. Tutto ruota attorno alle tasse, al bilancio federale e al ruolo del governo.
Estremizzando il testo federalista del decimo emendamento della Costituzione, il Tea Party si è attribuito il ruolo di rappresentare il potere del popolo contro il governo. Scorrendo il testo del Contract from America, il programma dei Tea Party, la definizione di conservatorismo economico è più fondamentalista di quella dei repubblicani tradizionali. Il Tea Party vuole impedire che deputati e senatori possano approvare provvedimenti legislativi che dirottano fondi già stanziati verso progetti specifici di loro interesse (i cosiddetti earmarks). Inoltre il Contratto propone l'abolizione dell'intera normativa tributaria da sostituire con una legge non più lunga di 4.543 parole (la lunghezza originaria della Costituzione). La spesa pubblica non deve aumentare se non nella misura dell'inflazione a cui può essere aggiunta una percentuale equivalente all'aumento della popolazione. Ogni aumento della pressione fiscale deve essere approvato da una maggioranza di due terzi del Congresso.