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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:31.
Se il calendario istituzionale non coincide o, peggio, entra in rotta di collisione con quello politico, quanti pericoli corre il federalismo?
Ne corre uno, soprattutto. Quello di partorire, alla fine, una gigantesca soluzione pasticciata, buona per tutti i gusti, dove tutti si riconoscono per quota a seconda di ciò che sono riusciti ad ottenere. Il rischio è che si profili un modello confuso di federalismo in parte "competitivo" (sul terreno del rapporto tra pressione fiscale e qualità dei servizi offerti), in parte "solidale e cooperativo" per far fronte ai divari persistenti in termini di reddito, servizi e infrastrutture e garantire a tutti i territori uguali punti di partenza.
Ma un ibrido tra continuismo e rivoluzione, qualcosa a metà strada tra la spinta innovatrice del Nord e la resistenza al cambiamento del Sud, è cosa ben diversa da un accordo equilibrato nell'interesse di un Paese che ha necessità di razionalizzare e mettere sotto controllo una grande fetta della finanza pubblica.
Dove al controllo, come ha spiegato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, si abbina l'aggettivo "democratico", quello cioè esercitato dai cittadini sui livelli di governo più vicini alla loro vita secondo la sequenza lineare "vedo-voto-pago".
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S'intende: nulla è compromesso. Parliamo, per l'entrata a regime della riforma, di un orizzonte compreso tra il 2016 ed il 2019. Anche se la partita si sta già scaldando: la tempistica della legge delega approvata nel 2009 (con buono spirito bipartisan) prevede che i drecreti delegati attuativi siano varati entro maggio 2011. Potranno esserci poi i decreti correttivi ed è già previsto un periodo di transizione di cinque anni per consentire alle Regioni di adattarsi al criterio dei costi standard che sostituirà quello della spesa storica. Ma il rischio c'è, e va disinnescato.
Il quadro politico è improvvisamente mutato, e nella maggioranza che sostiene il governo Berlusconi la questione del federalismo, intrecciata al problema del sostegno al Sud (i tagli al Fondo aree sottosviluppate, ma anche il fatto che il Mezzogiorno non riesce a spendere e lascia le risorse disponibili in cassa), è diventata terreno di scontro strategico.