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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 08:19.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2010 alle ore 08:06.
Forse qualcuno lo ribattezzerà come Manifesto di Westminster. Fatto è che il viaggio di Benedetto XVI in Gran Bretagna, oltre ad essersi rivelato un oggettivo successo di piazza, lascerà una traccia sul sentiero del rapporto tra religione e politica, sul ruolo pubblico della religione. Davanti all'intera élite britannica riunita nel tempio della democrazia, Joseph Ratzinger (primo papa ad entrare in quella sala immensa) ha spiegato la sua teologia politica, giocata sulla stretta via del rapporto tra fede e ragione.
Con una domanda: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? Un pensiero affilato che ha tradotto anche per il suo popolo: «Vogliono abolire il Natale», avvertendo del rischio incombente della marginalizzazione dei cattolici, costretti quasi a dissimulare la loro presenza nella società. Ratzinger in questo è un papa occidentale, che ha fatto della guerra alla «dittatura del relativismo» la cifra del suo pontificato. La sfida quindi è in casa, nell'Occidente ricco e stretto tra spinte secolarizzatrici e la ricerca dell'Assoluto che il popolo cattolico persegue tra continui smarrimenti.