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Nel lungo labirinto dell'abuso del diritto

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 24 settembre 2010 alle ore 08:03.

Un tempo le regole procedurali non si cambiavano mai. Sulle altre si poteva intervenire, con estrema cautela. A ricordarlo è Mario Cicala, a lungo giudice in Cassazione. Da qualche tempo, invece la Corte ha esercitato in materia tributaria e, qualche volta, rivendicato un ruolo creativo nell'applicazione del diritto. Ai giudici dà soddisfazione, ma crea sconcerto nei contribuenti. E l'abuso del diritto è uno dei frutti più indigesti messi sul tavolo dalla Corte di legittimità.


L'abuso del diritto consiste nel principio per cui tutti i "negozi" messi in atto dai contribuenti possono essere disconosciuti dal fisco (con recuperi a tassazione di somme considerevoli, sanzioni e interessi) se le operazioni sono prive di «valide ragioni economiche». La Cassazione ha imposto questo principio prima rifacendosi alla giurisprudenza comunitaria, poi alla Carta costituzionale (articolo 53).
La formula «valide ragioni economiche» è prevista dalla legge (articolo 37 bis del Dpr 600/1973) che però ne delimita gli ambiti di applicazione e fissa una serie di garanzie procedurali. Una delle critiche che più di frequente vengono mosse alla Cassazione in tema di abuso di diritto è invece proprio che il principio viene affermato senza garanzie soprattutto di tipo procedurale. Il risultato è che vacilla uno dei punti più delicati di un sistema economico: la prevedibilità delle conseguenze rispetto ai comportamenti.


Alcune sentenze hanno affermato in termini piuttosto drastici l'operatività del principio generale in base al quale la mancanza di valide ragioni economiche espone alla rettifica dell'ufficio (in particolare, le pronunce 30055 e 30057 del 2008 delle Sezioni unite). I giudici hanno ritenuto applicabile questo principio anche se l'ufficio fiscale non lo aveva invocato.
Secondo la Cassazione «può non essere riconosciuta dall'amministrazione un'operazione che a prescindere da profili di validità e quindi anche se realmente voluta dalle parti, sia priva di determinanti ragioni economiche diverse dal risparmio fiscale» (ordinanza 18055/2010).
Con la giurisprudenza sull'abuso di diritto, ha osservato in più di un'occasione Ivan Vacca, condirettore generale di Assonime, si può arrivare alla conseguenza che tutte le norme dell'ordinamento possono essere disapplicate se i giudici non ravvisano valide ragioni economiche. Secondo Vacca, «anche quando la Cassazione dice che l'abuso di diritto non aggira la riserva di legge in materia tributaria, bisogna ricordare che l'individuazione di una fattispecie, in un sistema di civil law, contiene un elemento di prevedibilità messo in discussione dall'appello alle ragioni economiche».

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Tags Correlati: Assonime | Corte di Cassazione | Illeciti | Ivan Vacca | Raffaello Lupi |

 


In alcune sentenze, invece, la stessa Cassazione ha cercato di fissare dei paletti all'applicazione di questo principio. In qualche caso è stato chiesto, infatti, che l'amministrazione finanziaria spieghi come e in che modo gli schemi contrattuali utilizzati dai contribuenti abbiano dato luogo a un abuso e come sarebbe stato corretto applicarli nella situazione concreta (sentenza 1465/2009). Una sentenza di due giorni fa (20030/2010, si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) ha poi affermato che l'amministrazione deve spiegare qual è il vantaggio fiscale che dà luogo all'abuso.
Alla fine si ha l'impressione di una grande confusione alla quale finora nessuno ha saputo trovare risposta. Nel 2009 sembrava ci fosse un accordo per arrivare a una definizione legislativa dell'abuso del diritto. Ma ormai nessuno pensa più che un intervento del genere sia in vista.


L'amministrazione finanziaria, finora, non ha preso posizione, per cui gli uffici si regolano ciascuno come crede, spesso utilizzando l'abuso del diritto come base per le contestazioni.
Il principio dell'abuso, al di là dei tecnicismi, può dunque rappresentare – secondo Raffaello Lupi, ordinario di diritto tributario a Roma – una scorciatoia per il fisco. «L'abuso del diritto – afferma – è l'ultima frontiera delle rettifiche sul regime giuridico della ricchezza palese. In pratica il fisco reinterpreta quello che conosce, sottraendo risorse alla ricerca di quanto non conosce. È un brutto segno».
Per Massimo Basilavecchia, ordinario di diritto tributario a Teramo, «occorre che la giurisprudenza distingua in modo più dettagliato tra i casi in cui il risparmio d'imposta effettivamente è realizzato aggirando l'ordinamento, rispetto a quelli in cui la legge consente o incentiva un certo comportamento».
La strada per arrivare a una maggiore chiarezza sembra lunga. Del resto, si sa, la giurisprudenza è mobile. E questo è naturale, a patto però che neanche per combattere l'evasione si metta in discussione la certezza del diritto.

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