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A chi fa gola il tesoro di UniCredit

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 09:51.
L'ultima modifica è del 25 settembre 2010 alle ore 08:05.

Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo hanno un gruppo di controllo sostanzialmente stabile. Eni, Enel e Finmeccanica possono contare sul ministero dell'Economia come cane da guardia degli assetti azionari. UniCredit è la società che, tra i pochi superstiti delle grandi aziende italiane, fa eccezione. Le fondazioni di Verona, Torino e Bologna controllano circa l'11% del capitale, che non permette di dormire sonni del tutto tranquilli. Anche perché, negli ultimi anni, hanno assunto posizioni spesso diverse. La partecipazione del 5% di Mediobanca non è tra quelle strategiche.

Un paio di fondi, l'Aabar di Abu Dhabi (poco meno del 5%) e l'americano BlackRock (4%), hanno investito grazie all'impegno dell'ex ad Alessandro Profumo. L'azionariato tedesco, almeno ufficialmente, vede con una partecipazione appena superiore al 2% soltanto l'Allianz più un altro 3% che fa capo a soci come Munich Re, Capital group e Avz, mentre gli imprenditori italiani (per esempio le famiglie Maramotti e Pesenti) custodiscono pacchetti azionari di ridotte dimensioni. I libici infine, arrivati a quota 7,5%, sono rispettosi degli assetti di comando ma interessati alle plusvalenze ottenibili più che a essere azionisti stabili.
Un assetto quasi da public company che però, negli ultimi giorni, ha perso il manager di riferimento. Non solo. Il ruolo delle fondazioni è tutto da verificare. Fino a poco tempo fa si sono mosse nel classico stile dell'ex sinistra Dc: un blocco di potere defilato, abituato a comandare restando sotto traccia. In pochi mesi, prima con lo scontro sul presidente del consiglio di gestione Intesa Sanpaolo e ora con la sfiducia a Profumo, i riflettori si sono accesi e sono al centro dell'attenzione. La posizione è scomoda perché le polemiche sulla missione delle fondazioni non mancano. Qual è la loro funzione? Chi le controlla? Ha senso che, in prospettiva, mantengano la posizione d'influenti azionisti bancari? Le perplessità sono forti per considerazioni di segno opposto: da una parte sono accusate di essere centri di potere autoreferenziali dall'altra vengono ritenute troppo esposte alle decisioni e agli interventi della politica.

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Tags Correlati: Alessandro Profumo | Enel | Eni | Finmeccanica | Fondazione Crt | Italia | Maramotti | Mediobanca | Partecipazioni societarie | Pesenti

 


L'impressione è che le loro quote non siano destinate ad aumentare se non marginalmente. La Fondazione Crt di Torino, in particolare, è molto liquida avendo in cassa circa 400 milioni e, nei mesi scorsi, ha finanziato l'entrata in Generali senza ricorrere all'indebitamento ma la parte cash viene ritenuta fisiologica, da investire soltanto in circostanze particolari. Tra i compratori di titoli UniCredit, di cui da mesi in Borsa vengono scambiate partite rotonde, ci sono invece investitori arabi (tramite un'importante banca svizzera) e anche chi pensa che, al di là degli equilibri societari, l'acquisto di titoli UniCredit a 2 euro sia un affare.


Prospettive di crescita, quelle del gruppo, che lo stesso Profumo ha spiegato a investitori e analisti americani nel road show che non gli ha portato bene, tenuto la settimana prima del dimissionamento. Appena il ciclo economico si normalizza, spiegava Profumo, la quotazione è destinata ad aumentare per almeno due buoni motivi: il gruppo, come in genere le banche italiane, è penalizzato dai tassi d'interesse molto bassi in quanto i margini che vengono dai depositi sono tradizionalmente molto elevati e le perdite significative sui crediti in Italia. Tra chi considera UniCredit un affare c'è poi, in particolare, uno degli azionisti di maggior peso: Mediobanca. I cui manager, secondo scenari un po' di fantafinanza, potrebbero perfino coltivare la tentazione di lavorare a un grande accordo globale.

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