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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2010 alle ore 14:10.
L'ultima modifica è del 26 settembre 2010 alle ore 16:06.
L'odierno punto di vista che va per la maggiore nell'Eurozona è che la crisi è finita, i profondi timori, spesso esistenziali, emersi all'inizio di quest'anno sul futuro della moneta comune sono stati attenuati e ora tutto è tornato sotto controllo. Questa tesi è in totale disaccordo con i fatti. I mercati dei titoli di stato europei stanno nuovamente trasferendo un messaggio allarmante ai policymaker di tutto il mondo. Con i titoli di stato delle nazioni "periferiche" dell'area euro in continuo calo, il rischio di un default sovrano irlandese, greco e portoghese è più alto che mai.
Questo succede malgrado il pacchetto di aiuti combinato, messo a disposizione a maggio dall'Unione europea, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea per il salvataggio della Grecia, e malgrado il costante programma della Bce di acquistare i bond dei paesi periferici dell'Ue. In vista degli incontri annuali che si terranno tra poche settimane (seguiti a novembre dal summit del G20 a Seul), l'Fmi sta cedendo alle pressioni per dispiegare somme ancora più ingenti all'Ue con condizioni ancora più ridotte.
In effetti, la retorica ufficiale ha avuto ancora una volta lo scopo di persuadere i mercati ad ignorare la realtà. Patrick Honohan, il governatore della banca centrale d'Irlanda, ha etichettato i tassi d'interesse sui bond governativi irlandesi come «ridicoli» (intendendo troppo alti) e i ricercatori del Fmi sostengono che il default in Irlanda e in Grecia sia «superfluo, inaccettabile e improbabile».
Tutto questo rievoca in modo sconcertante quanto avvenuto in primavera, quando Jean-Claude Trichet, il presidente della Bce, criticò duramente il dubbioso mercato dei titoli di stato e dichiarò incomprensibile un default greco. I mercati, però, oggi pensano che ci sia un 50% di possibilità di default greco entro i prossimi cinque anni, e un 25% di possibilità che questo tocchi all'Irlanda. La ragione è semplice: sia la Grecia sia l'Irlanda sono plausibilmente insolventi.
Mentre la débâcle fiscale greca è ormai cosa nota, i problemi dell'Irlanda sono più profondi ma decisamente meno compresi. In poche parole: i policymaker irlandesi non furono in grado di supervisionare le proprie banche, e osservavano (o incoraggiavano) a distanza quella frenesia di spesa, che alimentava il debito, e che generava il "miracolo celtico", grazie al quale l'Irlanda è cresciuta più rapidamente di tutti gli altri paesi membri dell'Ue e il settore immobiliare di Dublino è diventato tra i più cari del mondo.