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La legislatura adesso è in bilico

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2010 alle ore 09:05.
L'ultima modifica è del 30 settembre 2010 alle ore 09:02.

Silvio Berlusconi aveva urgente bisogno di tornare a indossare l'abito istituzionale di presidente del Consiglio. I sondaggi, da lui stesso citati, testimoniano di un'opinione pubblica scossa e sconcertata da una politica ridotta a scambi d'insulti. Il discorso di Montecitorio nasceva dall'esigenza di ricomporre il quadro, dimostrando che il premier è ancora saldo nella sua parte in commedia, capace di tenere insieme una maggioranza sfilacciata e di promettere, se non garantire, stabilità.


Così è stato. Ma naturalmente non basta un discorso ben costruito per risolvere problemi politici profondi e risentimenti a lungo coltivati. La conta dei voti alla fine è stata molto deludente per il presidente del Consiglio. Non solo per il ruolo decisivo assunto dai suoi avversari interni, Gianfranco Fini e il siciliano Raffaele Lombardo: i due gruppi affini, alleati per l'occasione, si sono rivelati determinanti. L'illusione berlusconiana di affrancarsi dal loro condizionamento grazie a nuovi apporti dal centro e dal centrosinistra è rimasta tale. Ed è qui il secondo motivo di delusione. La capacità di attrazione dell'uomo che ha dominato la scena italiana per oltre sedici anni oggi si rivela piuttosto limitata.

Se dobbiamo ricavare dalla giornata di ieri una previsione sul prossimo futuro della legislatura, i motivi di pessimismo sono di gran lunga prevalenti. Lo scetticismo di Umberto Bossi dice tutto al riguardo. Il punto è che riconoscere la famosa "terza gamba" della maggioranza, ossia il gruppo finiano di Futuro e Libertà, non basta ormai ad assicurare una navigazione tranquilla al governo. Prima di tutto perché questo riconoscimento non è avvenuto in forme convincenti. Berlusconi, al contrario, ha riproposto l'immagine del Pdl come casa comune di tutti i moderati, con il chiaro intento di mettere in difficoltà Fini e Casini. Ma l'operazione, come abbiamo visto, non è andata a buon fine.

Ora la «terza gamba» finiana è nei fatti, scaturita dal voto sulle mozioni di fiducia. Ma è una gamba che promette tanti crampi, a partire dalle questioni legate allo scudo giudiziario (l'immunità per le alte cariche) e in generale alla riforma della giustizia. Immaginare che Fini e i suoi amici, dopo essere stati crocefissi per settimane alla storia della casa di Montecarlo, siano disposti a fare sconti al premier, vuol dire essere fuori strada.

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Tags Correlati: Antonio Di Pietro | Beppe Grillo | Gianfranco Fini | Governo | Montecitorio | PDL | Raffaele Lombardo | Silvio Berlusconi | Umberto Bossi

 

Tanto è vero che la «terza gamba» sta evolvendo in fretta verso un partito vero e proprio, con il quale sarà ancora più scabroso negoziare. Un partito annunciato, non a caso, dal presidente della Camera proprio durante il dibattito sulla fiducia. Nulla vieta d'ipotizzare una coalizione meglio articolata, fondata su un maggior numero di soci. Ma le circostanze in cui fiorisce questo nuovo partner, nonché il temperamento dei protagonisti, sono poco incoraggianti.

Certo, l'interesse di Fini, di Lombardo e di altri che tengono in pugno il destino della maggioranza non è di correre subito alle urne. Fosse per loro, si può arrivare al 2013. Ma il prezzo della sopravvivenza è il logoramento del premier. Un'ipotesi che il diretto interessato non potrà sopportare a lungo, e in ogni caso è Bossi a considerarla inaccettabile.

Si torna allora al punto di partenza. Berlusconi ieri mattina ha tentato di presentarsi come l'artefice di un "nuovo inizio" e ha riproposto l'agenda delle riforme. Qualcuno ha notato che il tono e il respiro del discorso erano tipici del primo giorno della legislatura, mentre oggi siamo già a metà del quinquennio. E purtroppo finora i risultati sono stati inferiori alle attese. L'appello del premier alla coesione nazionale era legittimo, addirittura ragionevole, e tuttavia alquanto fuori della realtà. Forse fuori tempo massimo.

L'intero andamento del dibattito lo conferma. Tutti, a cominciare dal presidente del Consiglio, hanno parlato con la mente rivolta agli italiani che guardavano la diretta tv. È stato un dibattito per molti aspetti elettorale. Come era evidente nella duplice chiave di Berlusconi: istituzionale, per un verso, ed elettorale per l'altro. I cinque punti programmatici sono già una piattaforma per le elezioni.

Idem si può dire per un Bersani mai così brillante ed efficace come capo dell'opposizione: anche lui teneva d'occhio la sua porzione d'opinione pubblica. E lo stesso vale per Antonio Di Pietro, irruento ed eccessivo oltre i limiti del buon gusto, palesemente messo in ansia dalla concorrenza di Beppe Grillo.

Si capirà presto se questa verifica di fine settembre è l'inizio di una nuova fase o, come è probabile, una tappa lungo il sentiero che porta allo scioglimento delle Camere. Tuttavia un punto è chiaro: non c'è sulla carta una maggioranza politica alternativa a Berlusconi. E non ci sono nemmeno le condizioni per un governo d'emergenza, votato alla riforma della legge elettorale, come sogna il centro-sinistra. Berlusconi esce più debole dal dibattito, ma l'opposizione non è più forte.

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