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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 09:03.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2010 alle ore 09:02.
Rimodulare le relazioni industriali, cercando un dialogo più continuo con i sindacati, per evitare che il "distacco" dei lavoratori dalle sigle tradizionali possa in qualche maniera "inceppare" la macchina industriale.
La Lavazza, storica azienda del capitalismo familiare italiano, parte da questa componente, per affrontare la sua prossima fase, sospesa fra internazionalizzazione e radicamento sul territorio.
L'obiettivo di medio termine, che ha preso il via da una ricerca effettuata dal think tank Torino NordOvest, è quello d'incrementare la partecipazione dei lavoratori ai processi di rinnovamento industriale, secondo un "attivismo" proprio della tradizione torinese. Una ricerca che pone in evidenza la necessaria "elasticità" che deve animare l'azienda, oggi guidata dal presidente Alberto Lavazza e dall'amministratore delegato Gaetano Mele, che si muove fra il Brasile e il Piemonte, Queimados e Settimo Torinese.
Il gruppo, infatti, ha raggiunto una soglia dimensionale significativa: sia nel 2008 sia nel 2009 la Lavazza ha superato come fatturato annuo il miliardo di euro, il 40% del quale ottenuto sui mercati internazionali. Ogni anno, sono consumate in tutto il mondo 14 miliardi di tazzine. I dipendenti sono 4mila. A questo punto, la Lavazza ha raggiunto il classico punto di svolta che caratterizza il family business italiano: un'internazionalizzazione commerciale e produttiva rilevante, compiuta in particolare nei paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) e negli Stati Uniti (con la partecipazione in Green Mountain), investimenti in tecnologia effettuati soprattutto nel quartier generale di Torino e nel vicino stabilimento di Settimo e la necessità di serrare le file, attraverso un dialogo più proficuo e una maggiore efficienza, con la propria forza lavoro. Sotto questo punto di vista, è interessante l'evoluzione delle relazioni interne.
Storicamente alla Lavazza, come molte imprese con una forte caratterizzazione locale, il management e i quadri intermedi hanno sempre avuto un rapporto a uno a uno con gli operai e con gli impiegati. Alle elezioni delle rappresentanze interne, vi è sempre stata una prevalenza della Cgil. E, come spesso capita nelle aziende con una spiccata connotazione familiare, la quasi inesistenza degli scioperi ha fatto il paio con lo scarso ricorso allo strumento della cassa integrazione: durante le crisi di mercato la Lavazza ha preferito pagare comunque gli stipendi, oppure integrare l'assegno della Cig fino al corrispettivo del salario.