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Facebook non è una storia da film

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 09:01.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2010 alle ore 09:03.

Spaccone. Miliardario. Genio. Questa la descrizione di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, nel film che ripercorre la storia di come in sette anni abbia trasformato un sito di social network di una camerata di Harvard in qualcosa che vale 30 miliardi di dollari.
Il film The social network racconta la storia di come Zuckerberg abbia litigato con i gemelli Winklevoss, due compagni di studio che credevano che avesse rubato loro l'idea di Facebook, e di come poi ha estromesso Eduardo Saverin, il cofondatore.


Il film non fa luce sulla controversia, anche se raffigura l'espansione di Facebook da parte di Zuckerberg come un tentativo disperato di far sì che la sua ragazza che lo aveva scaricato rimpiangesse di averlo fatto. In ogni caso, la pellicola solleva una domanda sugli imprenditori: per avere successo devono necessariamente essere «spacconi» e «teste di...», come lei lo chiama nella prima scena?

Lo Zuckerberg del film è affascinato dalle tattiche in stile Sun Tzu dei capitalisti di ventura della Silicon Valley, e Sean Parker, il furfante cofondatore di Napster, ne è l'adescatore. «Se foste voi gli inventori di Facebook, avreste inventato Facebook», dice ai Winklevoss (o anche Winklevi, come li chiama il suo personaggio). I tre avevano concordato un risarcimento di 65 milioni di dollari, cifra oggi rimessa in discussione.

Tutto ciò contribuisce a mettere insieme un film drammatico di gran classe. Potrà diventare un manuale per diventare imprenditori di successo meglio di quanto Re Lear lo può essere per i monarchi? Sicuramente no. Alcuni imprenditori saranno anche spietati, ma possono esserlo anche alcuni dirigenti delle grandi corporation quando c'è da sgomitare per far carriera. L'amoralità, insomma, non è di loro esclusiva competenza.

«Devono essere tenaci, persuasivi, risoluti e avere carisma, ma la maggior parte di loro non è spietata né connivente - dice Vivek Wadwha, professore alla Duke University -. L'unica differenza con la gente comune è la determinazione».

Comprensibilmente, dal momento che Zuckerberg è il laureato di Harvard più ricco dopo Bill Gates (e ha donato 100 milioni di dollari provenienti dagli utili di Facebook alle scuole di Newark nel New Jersey), il film allude al fatto che egli si è lasciato fuorviare dai soldi. Parker nel film gli dice: «Un milione di dollari non è fico. Sai che cosa è veramente fico? Un miliardo di dollari!».

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Tags Correlati: Anna Bissanti | Bill Gates | Eduardo Saverin | Edward Roberts | Harvard | Mark Zuckerberg | MIT | Napster | Politica | Vivek Wadwha | Winklevoss

 

Anche questo, tuttavia, è fuorviante. «L'impulso primario della maggior parte degli imprenditori è costruire qualcosa, risolvere problemi. Ciò che vogliono è superare qualche ostacolo nella vita, fare qualcosa di entusiasmante, che rompa rispetto alla normalità. È difficile che parlino di soldi», dice Edward Roberts, presidente del centro per l'imprenditoria del Mit.

Ciò non significa che gli imprenditori sono persone gentili e garbate con le quali è facile andare d'accordo. Sono motivati e impazienti, hanno opinioni chiare su come dovrebbe essere costruita un'azienda. I soci che fondano un'azienda nelle prime fasi imboccano strade diverse, non appena uno dei due crede che l'altro non lavori altrettanto duramente o non abbia buone idee.

The social network racconta proprio questa prima fase nella vita di Facebook. Il 30% delle azioni di proprietà di Saverin, del quale Zuckerberg è insoddisfatto, è diluito quando il capitale di rischio dà i suoi frutti; Saverin fa causa, poi si accontenta del 5% di Facebook, il che non è malaccio.

La natura umana fa sì che le persone tendano a dare il peggio di sé quando si tratta di dividersi le spoglie di qualcuno o qualcosa (si veda Re Lear). Tale momento si presenta abbastanza presto nella vita di aziende in espansione, ma accade sempre nelle grandi corporation, per esempio quando c'è in lizza un posto da direttore.

Gli incentivi a essere spietati tendono a essere inferiori nelle aziende in espansione, perché buona parte del loro valore ha a che fare con la costruzione di qualcosa, non con il fatto di dividersi ciò che già esiste. Se la torta è abbastanza grande, come dimostra Facebook, allora è sufficiente appropriarsi di una piccola fetta. Nel film, il personaggio di Zuckerberg aggredisce con queste parole l'avvocato dei Winklevoss che ne ha richiesto la completa attenzione durante una deposizione: «Il grosso della mia attenzione è rivolto agli uffici di Facebook, dove i miei dipendenti e io ci occupiamo di cose che nessuno in questa aula, compresi e soprattutto i suoi clienti, sono intellettualmente o creativamente in grado di fare».
Fra tradimenti e ostilità questo è ciò che conta: Facebook non vale 30 miliardi di dollari perché Zuckerberg si è appropriato del concetto di social network dai Winklevoss, o per aver fatto fuori il cofondatore. In caso contrario oggi sarebbe proprietario del 100% di nulla.

Invece, Zuckerberg ha il merito di aver tradotto in realtà un'idea, di averla adattata alle necessità a mano a mano che se ne presentava l'occasione, conquistando investitori tramite Parker, circondandosi di talenti e guidando un'azienda globale.

In passato ho criticato Zuckerberg per i suoi atteggiamenti nei confronti della privacy, ma sarebbe ridicolo ascrivere il suo successo al fatto di essere uno sbruffone e un traditore. Gli imprenditori non creano grandi società da soli, dimostrandosi spietati geni solitari, bensì avendo le capacità e il talento di creare e organizzare le capacità e il talento altrui.

La capacità di un imprenditore di lavorare in gruppo è un elemento cruciale per il successo. Dalle ricerche risulta che una start up che abbia due cofondatori ha maggiori probabilità di arrivare a profitti nell'ordine dei 100 milioni di dollari di una che abbia un fondatore unico, afferma il professor Roberts. E le probabilità aumentano quando invece di due i fondatori sono tre e ancor più quando sono quattro. Questo non assicura il gran dramma che The social network ci offre. Tuttavia, è la realtà.

(Traduzione di Anna Bissanti)
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