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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2010 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2010 alle ore 08:53.
Il governo irlandese ha deciso di salvare dal fallimento il sistema bancario. Il conto per i contribuenti si aggira sui 50 miliardi, quasi un terzo del Pil. Ciò porterebbe il disavanzo di fine anno al 32% del Pil e il debito pubblico al 100%. Questi dati sono certamente allarmanti, ma non è detto che l'Irlanda sia costretta a richiedere aiuti esterni. L'impennata del disavanzo dipende da una partita di bilancio e rappresenta in gran parte una spesa una tantum, e il governo non avrà bisogno di tornare sui mercati fino alla primavera del 2011.
Il piano fiscale prevede un disavanzo del 3% già al 2014. Non vi è dubbio, però, che l'Irlanda sarà costretta a un maggiore sforzo di consolidamento fiscale, contribuendo a un aumento del risparmio aggregato nell'Eurozona. La fase post-crisi nel nostro continente si caratterizza sempre di più come una fase di rigore nei conti pubblici.
Il ministro delle Finanze irlandese ha giustificato il bailout sostenendo che il fallimento di uno dei due istituti di credito avrebbe portato al fallimento dell'intero paese. Ogni qual volta una grande banca è in difficoltà si solleva lo spettro del rischio sistemico. Tuttavia, sia Anglo Irish Bank che Allied Irish Bank sono ben diverse da Lehman Brothers. In particolare, non possiedono la leva finanziaria e quella rete di rapporti, basata su contratti derivati con centinaia di migliaia di controparti in tutto il mondo, che hanno reso il fallimento della banca americana così disastroso. L'esempio irlandese dimostra che i governi sono molto (forse troppo) restii a trasferire sugli obbligazionisti il grosso delle perdite causate dai fallimenti bancari. Ciò determina una palese ingiustizia a svantaggio dei contribuenti e un incentivo alla sottocapitalizzazione delle banche. Le autorità che stanno rivedendo i criteri di regolamentazione dei sistemi finanziari dovranno riflettere molto sulla possibilità d'imporre limiti alla dimensione delle istituzioni finanziarie e al leverage.
Il caso dell'Irlanda è emblematico per il modo particolare in cui si è manifestata la crisi economica in Europa. Negli anni scorsi questo paese è stato ammirato per due motivi principali: la rapida crescita del Pil, che ora supera di un buon margine la media continentale, e la solidità dei conti pubblici. Tuttavia, molti osservatori hanno sottovalutato due fattori critici importanti. Il boom economico e il gettito fiscale si sono basati in larga parte sulla crescita del settore immobiliare (gonfiato da una bolla speculativa) e sulla crescita del settore creditizio. Dal 2004 al 2007 il debito delle famiglie è cresciuto dal 107 al 194% del reddito disponibile e i flussi finanziari dall'estero sono quasi raddoppiati. D'altra parte, il bilancio pubblico è stato alimentato dalla crescita del gettito derivante dalla tassazione del settore finanziario e dell'immobiliare. È pur vero che, al contrario della Spagna, la crescita economica dell'Irlanda si è accompagnata alla crescita della produttività, ma i dati sul debito privato e del disavanzo delle partite correnti avrebbero dovuto destare allarme ben prima che si sviluppasse la crisi finanziaria.