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David Cameron: «Sarò il premier dei bambini»

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 14:35.
L'ultima modifica è del 03 ottobre 2010 alle ore 08:03.

Ai piedi della scalinata del Numero 10, sto osservando il ritratto di Spencer Perceval, l'unico primo ministro britannico assassinato, quando spunta il premier in carica in tutta la sua imponenza. Davvero, è più alto, più grosso e più corposo, con una presenza più massiccia di quanto ricordassi. David Cameron è dotato di ciò che le classi dirigenti britanniche un tempo chiamavano "resistenza": una rassicurante solidità che, secondo la teoria, terrà in piedi il paese nei tempi difficili.


Sorvolando sulle politiche che potrebbero spaccare il paese in due - da un lato, i cittadini economicamente in ripresa, dall'altro quelli lasciati per morti - è difficile non farsi piacere Cameron: perfettamente a suo agio, scevro da boria, con una vivace curiosità intellettuale e, contrariamente a tanti leader conservatori - da Pitt (padre e figlio) a Peel, da Churchill a Thatcher - palesemente non tormentato da demoni interni. A pensarci, sorprende che i Conservatori fossero sul punto di scegliere David Davis come leader: se la priorità era scrollarsi di dosso il marchio del "Nasty Party" (il partito dei cattivi), si sono premurati di puntare sul re della carineria, un uomo per cui l'affabilità è una dote naturale. Certo, resta da vedere se la linea della collegialità di Cameron sopravvivrà all'inevitabile stagione di scontri che si scatenerà non appena sapremo esattamente dove andrà a colpire l'ascia dei tagli di spesa.


Questo non vuol dire che il primo ministro sia poco riflessivo. Di fronte all'immagine emaciata del reazionario, evangelico Perceval, ricordo a Cameron che il suo predecessore finì per mano di un uomo d'affari deluso, John Bellingham. «Davvero?», dice lui, aggrottando le sopracciglia. Cameron lancia un'occhiata al predestinato Perceval e si concede un momento di mesto umorismo: «Utile ricordarselo, vero?»
E la battuta non è del tutto bizzarra. Al di là dell'aspetto solare e dell'indole ottimistica di Cameron, su di lui pesano le lunghe ombre del ciclo della vita. A febbraio dell'anno scorso suo figlio Ivan, malato di paralisi cerebrale ed epilettico fin dall'infanzia, è morto a soli sei anni. Il mese scorso, il padre di Cameron, il suo modello di coraggio di fronte alle avversità, dopo aver subito due amputazioni e perso la vista da un occhio è stato ucciso da un infarto. Fra queste due morti, come una provvidenziale consolazione, è nata sua figlia Florence.

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Tags Correlati: Barack Obama | Brian Pitman | David Cameron | David Davis | George Osborne | Gran Bretagna | John Bellingham | Lib Dem | Nasty Party | Partiti politici | Partito Conservatore inglese | Stati Uniti d'America | Vince Cable

 


La prima cosa che gli chiedo è di immaginare Florence fra 16 anni, che si prepara a un esame di storia, e chiede a suo padre cosa ha fatto per meritarsi tante lodi. Segue un tacito ma inconfondibile «caspita» al pensiero di Florence proiettata tanto oltre l'epoca dei pannolini. Ma la sua risposta è rivelatrice: «Spero di poterle dire che innanzitutto ho creato un governo di coalizione, il primo da 65 anni. Era nell'interesse del paese affrontare la crisi con il deficit e il debito pubblico alle stelle, e lo abbiamo portato fuori dalla zona a rischio».
Mi viene in mente che, anche se David Cameron non lo ammetterebbe mai, il governo di coalizione potrebbe essere quello che, caratterialmente, gli si adatta meglio, e che gli permette di gestire la destra più irrequieta. «Penso che Clegg sia un'ottima persona. Stiamo lavorando bene insieme. La coalizione è difficile, ci sono discussioni e divergenze, ma il rapporto funziona. Ci ha costretto ad alzarci dal divano e a sederci in torno a un tavolo, e i risultati stanno arrivando».


Con il senno di poi, rimpiange i dibattiti in tv che hanno trasformato Nick Clegg da un oscuro novellino a un vero contendente? «Dopo il primo dibattito, quando i liberal avanzavano nei sondaggi a grandi passi, ovviamente ero un po' stressato», ammette. Quindi sarà "Non, je ne regrette rien" l'inno del partito al congresso di Birmingham? «'umore del partito nel paese sembra molto positivo… c'è soddisfazione». Perché no? Si sta affrontando il problema del deficit, afferma: promesse programmatiche mantenute. La base del partito al congresso di Birmingham si comporterà come se i Lib Dem fossero soltanto una comitiva di parenti in visita da intrattenere per un po', in attesa che tolgano il disturbo. Cameron dirà che la coalizione sta seguendo gli ordini dei conservatori, Clegg e Vince Cable diranno il contrario. Con ogni probabilità, non basterà per eliminare il sospetto che nel Dna di Cameron non ci sia una cellula di thatcherismo, e che nonostante tutta la letteratura pre-elettorale sul suo conservatorismo abbia dichiarato estinta la linea di unità nazionale dell'era Macmillan, in realtà è proprio questo che sta offrendo. «Il partito conservatore si vanta di essere meno ideologico, più pragmatico e pratico. Secondo me spesso ha fatto le scelte giuste per il paese».


Quando parliamo di storia, che Cameron definisce una sua passione, il suo istinto centrista emerge in modo ancora più evidente. Quando invoco il governo di Disraeli del 1874 come l'origine dell'interventismo statale - con l'ispezione sanitaria e la fornitura pubblica di acqua e servizi igienici - Cameron si affretta a celebrare Dizzy come un autentico esponente della "Tory democracy". Più avanti, gli chiederò cosa pensa della tendenza del conservatorismo americano a scivolare nell'eccesso libertario. «Come posso dire? Ho l'impressione che ci siamo allontanati… c'è un elemento del conservatorismo americano che sta prendendo una direzione diversa, che tende a una guerra culturale».
Cameron si lascia sfuggire un commento rivelatore delle sue origini. Certo, bisogna evitare che i poveri non cadano oltre la rete di sicurezza, ma è importante capire che «se non facciamo i tagli saranno i più poveri a risentire di più del fallimento dell'economia… si è puntato troppo (da parte dei Labour) sulla ridistribuzione della ricchezza attraverso il piano di crediti fiscali, invece di cercare di affrontare le cause della povertà».
A dispetto delle sue dichiarazioni sulla comunità britannica condivisa, sembra di sentire le Home Counties che spiegano alle masse quale sia, in realtà, il loro miglior interesse. Prima occupiamoci del mercato obbligazionario, poi del cittadino che va a fare la spesa. All'improvviso, da un luogo chiamato Manchester, si sentono echi lontani del super-moderno Miliband che prepara la sua replica.


Dunque la "Big Society" è solo uno specchietto per le allodole di un governo che abbandona qualsiasi parvenza di intervento per alleviare l'iniquità sociale? Per quanto incomprensibile per l'elettorato, nonché frutto di ingenti sforzi per posizionare il partito fra il laissez-faire selvaggio e il collettivismo di stato, il motto resta valido per Cameron: «Non sono solo parole», dice. «L'idea della Big Society ha fatto presa perché la gente la capisce». Se questo sia in realtà solo un artificio linguistico neo-vittoriano per descrivere la cittadinanza beffata per il bene locale, non è dato sapere. Ma Cameron tenta con convinzione di infondervi un po' di realtà umana, e arriva ad affermare che il partito conservatore ha sempre invitato i cittadini a chiedersi «cosa restituisco alla società?», senza aspettarsi che paghino le tasse e lascino decidere gli eletti senza fiatare.
Ma cosa può fare un buon conservatore in questa difficile congiuntura, se non stringere mani e appellarsi al volontariato? Faccio notare la difficoltà di qualsiasi governo a imporre un cambio di comportamento per legge. Ma il primo ministro insiste con il suo richiamo al risveglio civico per il bene comune. Prendiamo l'obesità, per esempio. Ammette anche lui che invertire la crescita del giro vita non è un'impresa realizzabile per un governo, e che, in fin dei conti spetta ai genitori, alla scuola e ai medici occuparsene. Ma il governo può, secondo lui, assumere il ruolo di educatore, di guida morale. Cameron non si arrende, né nella guerra all'obesità, né di fronte a qualsiasi altra sfida che richieda l'assunzione di una "responsabilità sociale". Arrendersi, insiste, sarebbe «un consiglio dettato dalla disperazione».


Cambiare le cose è possibile, Afferma. Mi racconta di Balsall Heath a Birmingham, un tempo terra di conquista di bande di spacciatori e sfruttatori di prostitute. Gli abitanti del posto determinati a tirarsi fuori da questa situazione si sono uniti e hanno chiesto alla polizia di ripulire la zona. Balsall Heath rappresenta un esempio del volontariato di redenzione sociale predicato da Cameron. I prezzi delle case sono aumentati; le strade sono sicure. «Ora ci sono posti dove coltivare fiori e piante», racconta. «Questa storia dimostra come la Big Society non funzioni soltanto nei quartieri alti del West Oxfordshire o del Dorset».
Già che ci siamo, che ne dice di un ripassino di etica per le classi finanziarie? Non sono stati gli hooligan delle banche a giocare d'azzardo per poi far pagare il conto a tutti noi? Cameron si irrita appena un po', una macchia solare di indignazione. È stato il governo precedente a guardare dall'altra parte, dice. «L'economia negli ultimi dieci anni è diventata pericolosamente sbilanciata e chi c'era prima di noi ha adottato una politica di benevola negligenza. Devono aver pensato: la City genera i soldi che ci servono per tutti i nostri programmi. Chiudiamo gli occhi e non chiediamoci se il sistema sia adeguatamente regolamentato o sostenibile».


Cameron diventa nostalgico pensando alla scomparsa di uomini in gamba nella City, soprattutto Brian Pitman, a lungo presidente e amministratore delegato di Lloyds Tsb, un banchiere di vecchia scuola, in un'era in cui le autorità di vigilanza e le banche centrali operavano con un «senso di discrezione, giudizio e la giusta dose di influenza». A proposito dei bonus indecenti, Cameron promette di essere implacabile. Il centro destra «non deve aver paura di affrontare le grandi imprese», dichiara. «Abbiamo tentato di intervenire duramente sulle remunerazioni eccessive nel settore pubblico. Penso che si possa dire molto sulle retribuzioni in altre aree dell'economia, e non ho nessun problema a farlo».
Il tempo sta passando e voglio chiedergli di promuovere a scuola il tipo di storia in grado di plasmare una versione inclusiva ma senza scuse della comunità britannica. Si dice favorevole: non voltare le spalle alle storie che coinvolgono un popolo post-imperialista, celebrare l'abolizione della schiavitù ma senza dimenticare le atrocità come il massacro di Amritsar. Anche queste storie possono contribuire all'integrazione. «Negli anni Settanta e anche dopo c'era la tendenza a rivolgersi alle persone come se fossero in silos separati. Bisognava avere un approccio solo per la popolazione somala o dei musulmani britannici... è una casa che stiamo costruendo insieme, e non un albergo con tante persone diverse in stanze separate. L'approccio era sbagliato, condiscendente».


Passiamo all'arte. Perché Guernica è il suo quadro preferito? «La guerra civile spagnola era una materia a sé quando studiavo e (l'opera di Picasso) è un'incredibile fonte di riflessione». Magari anche di panico, terrore, massacro e dolore, però.
È questa imperturbabilità gioiosa che voglio rompere. Va bene essere gentili, ma come ha scoperto Barack Obama, senza l'istinto per la giugulare, si può finire male. «Cosa le fa perdere il controllo? E la prego non mi dica l'ingiustizia sociale." David Cameron ride. "Deve chiederlo a Gabby". Gabby Bertin è la sua assistente, l'unica persona che assiste all'intervista. «Succede quando le cose non sono fatte come si deve», interviene lei. Dunque non mi sorprende che l'oggetto della sua ira più nera è proprio lui stesso. «Succede quando fai qualcosa per cui sei deluso da te stesso». «Come quel primo dibattito in tv?», gli chiedo maliziosamente. Si prende in giro di nuovo. «No, in realtà non pensavo di essere andato così male!»


Ovviamente David Cameron non è una mammola: ha anche gli artigli. Ma è così votato alla politica della collegialità che quando, nel rigido inverno dei tagli, diventerà profondamente impopolare nelle parti del paese più penalizzate, in qualche modo ne resterà sorpreso, come un apostolo bombardato di pesce marcio. La vivacità patriottica di Cameron potrebbe risultare irritante invece che rassicurante.
Lui, George Osborne e Nick Clegg negli anni Ottanta studiavano nelle loro università di lusso mentre il paese veniva lacerato. Per questo non si rende conto del rancore. Per quanto non immaginino di infliggere il secondo round di thatcherismo, ciò che stanno per fare potrebbe avere esattamente quell'effetto. Ci sono volte in cui si ha l'impressione che non abbiano realizzato appieno l'entità del loro radicalismo. Riconoscendo il rischio di essere tagliato fuori come primo ministro, ammette la necessità di «mantenere sottili le pareti del bunker».


Cameron dà l'impressione di avere una vita al di là del gioco di potere, e la storia di Ivan ha davvero segnato un giro di boa per la sua vita e le sue priorità. «Sì, ha messo tutto in prospettiva. Ti fa pensare alle grandi cose che stai cercando di fare. In fondo cerchi di prendere le decisioni giuste e fare la differenza, concentrando le tue forze su ciò che conta di più».
Quando ripenso alla parola più ricorrente nella nostra conversazione, mi accorgo che è «bambini»: anche più di «responsabilità sociale» e «governo massimalista». Come vorrebbe lasciare la Gran Bretagna alla fine del suo mandato? «Un luogo migliore per i bambini, in cui andare a scuola e crescere». E per quanto mi sia armato contro il sentimentalismo, non vedo nulla in lui del politico che bacia i bambini per la strada mentre lo dice; solo un senso istintivo, quasi animale, per la famiglia.
Columbia University

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