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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2010 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 05 ottobre 2010 alle ore 08:03.
Non è mai stato facile avere una conversazione razionale sul valore dell'oro. Ultimamente poi, con il prezzo dell'oro cresciuto di più del 300% nel corso dell'ultimo decennio, è più difficile che mai. Un investitore di successo che ha puntato sull'oro mi ha recentemente spiegato che anche i valori azionari sono rimasti pressoché stazionari per più di un decennio, finché l'indice Dow Jones non ha varcato la soglia dei 1.000 punti agli inizi degli anni Ottanta.
A quel momento l'indice è schizzato fino a oltrepassare i 10mila punti. Ora che l'oro ha attraversato la fatidica barriera dei 1.000 dollari, perché non dovrebbe poter decuplicare anch'esso?
Tutto sommato, per visualizzare un prezzo dell'oro molto più alto di quello attuale non si deve fare un grande sforzo d'immaginazione. Aggiustando i valori per l'inflazione, il prezzo oggi non è neanche lontanamente paragonabile al suo massimo storico, raggiunto nel gennaio 1980. A quel tempo l'oro raggiunse gli 850 dollari, cioè più di 2mila dollari di oggi. Ma quello del gennaio del 1980 fu certamente un picco anomalo, legato a un periodo di alta instabilità geopolitica. A 1.300 dollari, il prezzo attuale dell'oro è probabilmente più del doppio di quello che dovrebbe essere il suo valore medio, a lungo termine, aggiustato per l'inflazione. Allora cosa potrebbe giustificare, a questo punto, un'ulteriore ascesa nel prezzo dell'oro?
Una risposta, di certo, può risiedere nella prospettiva di un totale collasso del dollaro americano. In un periodo caratterizzato da deficit in aumento e politica fiscale sconclusionata, è lecito domandarsi se un'amministrazione populista non possa irresponsabilmente ricorrere al torchio tipografico. Per chi fosse davvero preoccupato da questo scenario, l'oro potrebbe effettivamente rappresentare la difesa più affidabile.
È vero che c'è chi potrebbe sostenere che i titoli di stato indicizzati all'inflazione fornirebbero oggi un'alternativa più sicura e diretta rispetto all'oro. Ma i fanatici dell'oro fanno bene a preoccuparsi che il governo non onori i suoi impegni in caso di circostanze più estreme. Di fatto, come io e Carmen Reinhart mostriamo nel nostro recente libro sulla storia delle crisi finanziarie, This Time is Different, i governi a corto di fondi tendono a convertire i loro titoli indicizzati in titoli non indicizzati, in modo tale che il loro valore venga spazzato via dall'inflazione. Persino gli Stati Uniti abrogarono le clausole di indicizzazione dei loro titoli di debito durante la Grande depressione degli anni 30. Può quindi accadere dappertutto.