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Caro Obama, spendi di più invece di tagliare

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2010 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 06 ottobre 2010 alle ore 09:17.

L'insistenza dell'amministrazione Obama sull'irreprensibilità fiscale non è dettata da necessità finanziarie bensì da considerazioni politiche. Gli Usa non sono uno dei paesi fortemente indebitati d'Europa, che devono pagare ingenti premi sul costo al quale la Germania può prestare capitali. I tassi di interesse sui titoli di stato negli Usa stanno scendendo e sono prossimi a minimi record, il che significa che i mercati finanziari devono aspettarsi una deflazione, non l'inflazione. Nondimeno, Barack Obama è sotto forti pressioni politiche.

L'opinione pubblica statunitense è estremamente preoccupata per l'aumento dell'indebitamento pubblico e l'opposizione repubblicana è stata efficace nell'imputare il crack del 2008 all'incompetenza del governo, come pure nel dichiarare senza mezzi termini che il pacchetto di stimoli all'economia è andato in buona parte sprecato.
Vi è un elemento di verità in ciò, ma di parte. La crisi del 2008 prima di ogni altra cosa è stato un dissesto dei mercati, dissesto per il quale i regolatori americani (e di altri paesi) dovrebbero essere rimproverati per aver omesso di esercitare i dovuti controlli. Nondimeno, senza un salvataggio in extremis, il sistema finanziario sarebbe rimasto paralizzato e ciò avrebbe inasprito e protratto ancor più nel tempo la grave recessione che ne è scaturita. È vero: il pacchetto di stimoli e incentivi all'economia è andato in buona parte sprecato, ma ciò è dovuto al fatto che gli incentivi sono andati soprattutto a sostegno dei consumi, piuttosto che a correggere gli squilibri di fondo.

Dove l'amministrazione Obama ha sbagliato è stato nelle modalità con le quali ha salvato in extremis il sistema bancario: in pratica, ha aiutato le banche a tirarsi fuori da un enorme buco acquistando alcuni dei loro asset tossici e dando loro soldi a poco prezzo. Anche questo è riconducibile a considerazioni di ordine politico: sarebbe stato molto più efficace e funzionale iniettare nuovi capitali direttamente nelle banche, ma Obama temeva l'accusa di nazionalizzazioni e socialismo.

Quella decisione si è ritorta contro l'amministrazione, con gravi ripercussioni politiche. L'opinione pubblica, alle prese con un balzo delle spese sulle carte di credito - passate dall'8 al 30% circa - ha visto le banche guadagnare profitti eccezionali e pagare bonus consistenti. Il movimento del Tea Party ha saputo sfruttare questo risentimento, e Obama adesso è sulla difensiva. I repubblicani fanno campagna contro qualsiasi stimolo ulteriore, e l'amministrazione ormai riserva un'adesione puramente formale all'irreprensibilità fiscale, quantunque riconosca che la riduzione del deficit potrebbe essere prematura.

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Tags Correlati: Anna Bissanti | Barack Obama | Europa | George Soros | Giappone | Inflazione | Soros Fund Management | Stati Uniti d'America | Tea

 

Io credo che vi siano valide motivazioni per ulteriori stimoli. Di sicuro, i consumi non possono essere sostenuti all'infinito accumulando il debito nazionale: lo squilibrio tra i consumi e gli investimenti deve essere assolutamente corretto. Ma tagliare la spesa pubblica in un periodo di fortissima disoccupazione vorrebbe dire ignorare ciò che la Storia avrebbe dovuto insegnarci.

La soluzione più ovvia consiste nel distinguere tra investimenti e consumi attuali, e aumentare i primi diminuendo al contempo i secondi. Peccato che da un punto di vista politico ciò risulti indifendibile. La maggior parte degli americani è convinta che il governo sia incapace di gestire in modo efficiente gli investimenti finalizzati a migliorare il capitale reale e umano del paese.

Anche in questo caso, questo concetto non è privo di giustificazioni: aver definito cattivo il governo per un quarto di secolo ha fatto sì che il governo diventasse cattivo. La tesi secondo cui la spesa per gli stimoli all'economia è andata inevitabilmente sprecata è però palesemente falsa: il New Deal diede vita alla Tennessee Valley Authority, al Ponte di Triborough di New York e a molti altri servizi pubblici tuttora in uso.

Oltretutto, la semplice verità è che il settore privato non sta utilizzando le risorse disponibili. Obama è stato molto amichevole con il mondo degli affari e le corporation lavorano con grandi profitti, solo che invece di investire stanno accumulando liquidi. Forse una vittoria repubblicana aumenterebbe la loro fiducia, ma nel frattempo investimenti e occupazione richiedono stimoli fiscali (gli stimoli monetari, al contrario, più verosimilmente indurrebbero le corporation a distruggersi tra loro, invece che ad assumere dipendenti).

Quand'è che il debito pubblico diventa eccessivo è una domanda aperta, giacché la tolleranza per il debito pubblico dipende enormemente dalle percezioni predominanti. La variabile critica è data dal risk premium connesso al tasso di interesse: una volta che esso inizia a salire, il tasso esistente di finanziamento al deficit diventa insostenibile. Ma il punto critico è indeterminato.

Si prenda in considerazione il Giappone, che ha un rapporto debito-Pil prossimo al 200%, uno dei più alti al mondo. Ciò nonostante i titoli decennali assicurano poco più dell'1 per cento. Il Giappone un tempo aveva un alto tasso di risparmio, mentre oggi i suoi risparmi si collocano più o meno al livello di quelli degli Stati Uniti, soprattutto grazie all'invecchiamento della popolazione e al calo demografico. La grande differenza - il Giappone ha eccedenze commerciali, gli Stati Uniti un deficit - non è importante fintantoché la politica valutaria cinese lo obbliga ad accumulare asset in dollari in una forma o in un'altra.

Il vero motivo per il quale i tassi di interesse in Giappone sono così bassi è che il settore privato giapponese ha scarso desiderio di investire all'estero e preferisce titoli di stato decennali all'1% che contante allo zero per cento. Con i prezzi in calo e una popolazione sempre più vecchia, i giapponesi considerano allettante un guadagno reale. Fino a quando le banche statunitensi potranno prendere in prestito capitali a un tasso vicino allo zero e comperare titoli di stato senza dover impegnare capitali, e finché il dollaro non si deprezzerà contro il renminbi, i tassi di interesse sui titoli di stato statunitensi potranno benissimo continuare ad andare in questa direzione.

Ciò non significa che gli Stati Uniti dovrebbero mantenere il tasso di sconto vicino allo zero e accumulare un debito pubblico all'infinito. Una volta che l'economia tornerà a crescere, i tassi di interesse saliranno. Forse lo faranno addirittura precipitosamente, se il debito accumulato sarà troppo grande. Mentre però una cosa del genere potrebbe soffocare la ripresa, una stretta fiscale prematura la soffocherebbe ancora prima.

La politica giusta è quella di ridurre gli squilibri quanto più rapidamente possibile e al contempo limitare al minimo l'aumento dell'indebitamento. Ciò potrà essere attuato in vari modi, ma l'obiettivo dichiarato dell'amministrazione Obama - dimezzare il deficit di bilancio entro il 2013 mentre l'economia gira ben al di sotto delle sue capacità - non è uno di questi. Investire nelle infrastrutture e nella pubblica istruzione invece è più sensato. E altrettanto lo è mettere a punto un tasso moderato di inflazione deprezzando il dollaro contro il renminbi.
A ostacolare questa agenda non è l'economia, bensì le idee sbagliate sui deficit di bilancio, sfruttate per scopi ideologici e di parte.

(Traduzione di Anna Bissanti)
© PROJECT SYNDICATE, 2010
George Soros è presidente del Soros Fund Management

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