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Commenti e Inchieste

Chi dorme non piglia credito

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 09:19.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2010 alle ore 09:02.

Manca poco più di un mese al giorno in cui il G20 discuterà le proposte finali del Financial Stability Board (Fsb) sulle regole che guideranno il sistema finanziario del futuro, ma la concordia tra le autorità dei principali paesi sembra lontana. Nel frattempo alcune grandi banche si stanno muovendo autonomamente, spesso prendendo posizioni che possono rappresentare un non trascurabile vantaggio competitivo.

La strada che porta a Seoul si presenta dunque molto accidentata e questo genera almeno due preoccupazioni: perché - come avverte il Fondo monetario internazionale - il sistema finanziario mondiale è ancora il tallone d'Achille della ripresa economica e perché in un mondo in cui ciascuno va per la sua strada, le banche italiane possono trovarsi in difficoltà.

Le esigenze di fondo sono chiarissime: non è tollerabile che in futuro alle grandi banche sia riconosciuto il diritto a non fallire. Ma nello stesso tempo occorre disegnare procedure di risoluzione dei casi di crisi che consentano di controllare gli effetti sistemici tipici dell'attività bancaria. Tradurre questi principi in regole chiare ed efficaci, accettate da tutti i paesi, si sta rivelando complesso. Tanto per far capire che aria tira, il presidente dell'autorità di vigilanza tedesca ha dichiarato in questi giorni che siamo lontani "anni luce" per individuare una soluzione comune per la liquidazione ordinata di una banca internazionale. Un bell'incoraggiamento per il lavoro del Fsb forse non a caso pronunciato in un momento in cui si accentua nel mondo il pericolo di politiche valutarie non coordinate, tese a scaricare i problemi sugli altri paesi.

Dal canto suo, la Svizzera si accinge a discutere una proposta di legge che alza significativamente per le due grandi banche del paese i requisiti patrimoniali rispetto a quelli - che già a qualcuno sembrano eccessivi - di Basilea-3. E non si tratta di cifre di poco conto: il minimo per il capitale di primo livello dovrebbe essere superiore di 3 punti rispetto al 7% applicato alla generalità delle banche. Non basta: si propone anche una difesa pari al 9% da costituire in titoli di debito che si trasformano in capitale (assorbendo le perdite) se i risultati di bilancio superano certi limiti negativi.

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Tags Correlati: Banca del Monte dei Paschi di Siena | Banca Mondiale | Basilea | Credito alle imprese | FBS | Fmi | Global Financial Stability Report |

 

È vero che la Svizzera è un caso a parte dal punto di vista del rischio sistemico, perché quelle due banche hanno attività totali per un importo pari a 4 volte il pil del paese, ma è interessante osservare che una proposta apparentemente così severa muove proprio dalla preoccupazione di salvare in futuro il sistema produttivo nazionale. Cosa succederebbe alle nostre imprese - ci si è chiesti - e - se una delle due grandi banche si trovasse in difficoltà finanziarie? L'offerta di credito si ridurrebbe drasticamente. Di qui la necessità di rovesciare la facile polemica su Basilea-3: più capitale bancario, lungi dall'essere una minaccia alla disponibilità di prestiti, può essere la condizione fondamentale per garantire le certezze necessarie a riportare la fiducia e dunque la ripresa.

Il Global Financial Stability Report del Fondo monetario pubblicato martedì ammonisce che il punto critico per le grandi banche mondiale è quello del funding, perché una parte elevata del loro passivo (dunque della loro possibilità di concedere nuovo credito) dipende da fondi raccolti sul mercato internazionale. Si è raggiunto un equilibrio molto delicato, sorretto soprattutto dai generosi acquisti di titoli da parte delle banche centrali, che rischia di spezzarsi ad ogni stormire di fronde sul mercato del debito sovrano e di riflesso su quello dei titoli bancari. Il tutto potrà essere superato solo nel medio termine, ma richiede da parte delle banche una exit strategy in termini di ricapitalizzazione, che sia credibile fin da ora, indipendentemente dalle scadenze, diluite nel tempo, di Basilea-3.

Prova ne sia che alcuni grandi operatori, come Deutsche Bank, hanno agito d'anticipo, annunciando corposi aumenti di capitale. E qui il discorso per le banche italiane comincia a diventare complesso. È vero che il nostro sistema ha assorbito meglio di altri la crisi, ma non possiamo cullarci per sempre su questi allori. Non solo perché gli altri si stanno muovendo, ma anche perché nel panorama europeo non siamo precisamente nelle primissime posizioni. I dati sullo stress test pubblicati a luglio ci dicono che le 5 banche interessate occupavano posizioni che vanno dal 46° posto (Intesa SanPaolo) al 78° (Monte Paschi) su 91.
Tutte promosse, sì, ma nella parte destra della classifica, per dirla in termini calcistici. Il che significa che un irrobustimento patrimoniale (che può passare anche attraverso un ridimensionamento dell'attivo) appare necessario per mantenere il passo della concorrenza e assicurare il credito al sistema produttivo. I grandi azionisti e in particolare le fondazioni non possono quindi illudersi di avere ormai alle spalle i problemi posti dalla crisi: il momento delle grandi scelte strategiche, da cui dipenderà la capacità del sistema bancario italiano di sostenere la ripresa - deve ancora essere completato e per alcuni non sembra neppure cominciato.

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