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L'università e il riassetto che rischia il vicolo cieco

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 09:16.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2010 alle ore 09:04.

In Italia la strada della coerenza e del rispetto degli impegni è, per storia e prassi, impervia ed esposta a tutti i venti. Lo è in condizioni normali, figuriamoci quando sale la burrasca politica, in particolare quando questa attraversa la maggioranza che sostiene il governo. Tanto più se si considera che, sulla carta, l'attuale maggioranza si presentava come "blindata" nei suoi numeri in Parlamento.


Si poteva pensare che una delle riforme più attese, quella dell'università, potesse arrivare in porto senza troppo ansimare. Il suo lungo viaggio, cominciato in Senato, era giunto all'ultima vera tappa, quella della Camera, prima di tagliare il traguardo finale con l'approvazione definitiva a Palazzo Madama. Ma ora il percorso appare meno semplice e lineare. E rischiamo che questa riforma importante, dopo tanti anni di errori e improvvisazioni, o finisca in un vicolo cieco (dove resterebbe insabbiata per chissà quanto altro tempo ancora) o esca da Montecitorio ammaccata e peggiorata.

È in gioco una bella fetta del futuro del Paese, come ha detto, a ragione, il presidente della Conferenza dei rettori, Enrico Decleva. Non c'è in questa considerazione alcuna retorica futurista, ma un richiamo diretto alla responsabilità della classe politica. Questo giornale è stato tra i primi a sostenere una svolta su questo terreno che qualifica la prospettiva di un paese moderno e civilmente attrezzato. Ancora, abbiamo sottolineato per tempo il pericolo che il rapido deteriorarsi della congiuntura politica potesse sfociare nella paralisi operativa, governativa e parlamentare.

Ieri il premier Silvio Berlusconi e il ministro Mariastella Gelmini hanno voluto rassicurare sulla tenuta della maggioranza e sulla partita che riguarda la riforma dell'università. Nella sostanza bisogna che questa diventi nell'arco di pochissimo tempo legge dello stato.

Il che significa accelerare il passo dell'esame della Camera, lasciando alle spalle le guerriglie del calendario e i sabotaggi da emendamenti. Tutto è migliorabile, certo, Ad esempio, si sarebbero ora aperti nuovi varchi finanziari per consentire di recuperare le risorse necessarie in modo da bandire i concorsi per le novemila posizioni da associato e prospettare una carriera professionale (e non un "posto" qualunque).

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Campania | Enrico Decleva | Mariastella Gelmini | Montecitorio | Palazzo Madama | Ristrutturazioni d'imprese | Senato | Silvio Berlusconi | Stefano Caldoro

 

Quello dell'università è un mondo chiuso ed autoreferente, una cittadella per nulla efficiente assediata oggi da un esercito di ricercatori-precari con i loro torti e loro ragioni e da studenti (questi, per la verità, non un esercito) che capiscono il significato del merito in una società aperta. Il disastro è maturato nel corso di decenni e non è l'errore di un governo. Voltare pagina non è facile, anche perché il chiasso delle ideologie e della propaganda politica era e resta forte. Se ne trova traccia attuale nelle "lezioni all'aperto", o nelle stravaganti richieste politiche, ad esempio, per trasferire a Napoli il ministero dell'Istruzione e dell'Università perché la «Campania è la regione più giovane d'Italia», come ha detto ieri il governatore Stefano Caldoro.

La riforma messa nero su bianco dal governo non sarà la migliore in assoluto, probabilmente pecca anche per cautela, ma non è il frutto di un'improvvisata ministeriale. La proposta Gelmini è stata oggetto di un confronto ampio ed ha riscosso consensi anche nel mondo accedemico più critico, fino ad essere sostenuta con forza dal "congresso" dei rettori. Di più: a livello politico il testo approvato al Senato ha registrato la convergenza di parti dell'opposizione, un po' come accaduto per la legge delega sul federalismo nel 2009.

Affogare questa riforma in un calendario parlamentare di picche e ripicche politiche sarebbe un errore grave. La prova che l'interesse del Paese viene dopo, molto dopo, la guerra di posizione tra i partiti e nei partiti.

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