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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 09:18.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2010 alle ore 09:01.
«If it ain't broke, don't fix it» dicono gli americani. Nell'Italia della sanità, il “modello lombardo” è sinonimo di efficienza. Se alla fine degli anni Novanta è stata assegnata piena libertà alle Regioni nel governo del proprio sistema sanitario, la Lombardia è stata l'unica a cogliere l'occasione per innovare decisamente rispetto all'impostazione dirigista dell'SSN. C'era una scelta di fondo, a favore della sussidiarietà: le decisioni migliori sono quelle che sono prese al livello più prossimo al cittadino, e al paziente.
Per questo, si separavano nettamente fra funzioni di controllo dell'attività specialistica e ospedaliera (in capo alle ASL), e l'erogazione dei servizi, affidata ad aziende ospedaliere pubbliche e private. La simmetria nel processo di accreditamento e nel sistema dei controlli consentiva che, a fianco del pubblico, emergesse un'alternativa di battere strade innovative, capace di fare efficienza sul fronte dei costi, sensibile alle ragioni della ricerca. Il presupposto era lo stesso pagamento (DRG) per la singola prestazione, indipendentemente dalla natura giuridica dell'ente erogatore.
Dal punto di vista del paziente, il cittadino lombardo ha a disposizione una reale libertà di scelta del luogo di cura.
Dal punto di vista del “sistema”, le pressioni competitive del privato hanno fatto bene anche al pubblico, che ha avuto a disposizione un benchmark manageriale sul quale misurarsi.
Tutto è perfettibile, e questo è sicuramente anche il caso della sanità della Lombardia. Proprio per questo, stupisce però che il governo regionale abbia messo in moto un processo che potrebbe erodere proprio quei principi che hanno garantito tanto successo al suo sistema sanitario. In una legge regionale (5 febbraio 2010), un codicillo mette in circolo un elemento di instabilità. La norma prevede infatti maggiorazioni tariffarie a favore degli ospedali convenzionati con le facoltà lombarde di medicina. La formula è quella, arcinota, dell'“aiuto alla ricerca”: aiuto non indifferente, dal momento che si parla di una maggiorazione tariffaria fino al 25%.
L'aiutino però potrà scattare solo ad alcune condizioni. Alcune sono sacrosante. Ma, fra le altre, si specifica che i beneficiari delle maggiori tariffe, privati inclusi, dovranno scegliere prioritariamente la via di rapporti a tempo indeterminato con i medici e con il personale infermieristico. La Giunta regionale, con una deliberazione dello scorso luglio, ha aggiunto che si dovrebbe trattare di rapporti «con vincolo di subordinazione».