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Gli Stati Uniti appesi alla paura

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2010 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 08 ottobre 2010 alle ore 08:51.

Anche se quest'anno hanno registrato una lieve crescita, gli investimenti in capitale fisso in America sono molto al di sotto del livello a cui dovrebbero essere in base ai precedenti storici, considerando la recente, spettacolare impennata della redditività delle imprese. Combinati con il tracollo degli investimenti illiquidi a lungo termine delle famiglie, hanno vanificato la ripresa economica. Queste carenze, frutto della diffusa preoccupazione per il futuro nel settore privato americano, hanno neutralizzato in buona parte (se non in gran parte) l'impatto delle misure di stimolo del governo. Lo stesso attivismo implicito in quelle misure ha contribuito ad alimentare l'ansia.

La reazione istintiva degli imprenditori e delle famiglie all'incertezza è quella di tirarsi fuori da quel genere di attività che esigono una certa sicurezza sull'andamento futuro dell'economia. Per le imprese non finanziarie (che rappresentano la metà del prodotto interno lordo), la misura migliore di questo disimpegno è la percentuale di liquidità destinata a investimenti in attività fisse illiquide a lungo termine. Nella prima metà del 2010, questa quota è scesa al 79%, il dato più basso mai registrato (questo tipo di dati viene raccolto da 58 anni).

La corrispondente impennata nella percentuale di attività liquide che ha fatto seguito al fallimento della Lehman Brothers è stata di una rapidità senza precedenti nel dopoguerra, un incremento di quasi 400 miliardi di dollari. A metà 2010, le attività liquide complessivamente erano cresciute a 1.800 miliardi di dollari, la percentuale più alta sul totale in quasi mezzo secolo. Senza questo storno senza precedenti del cash flow, il tasso di incremento delle spese in conto capitale delle imprese non finanziarie sarebbe stato doppio rispetto al modesto incremento registrato nella prima metà dell'anno in corso.

In un contesto del genere, l'equity premium (la differenza di rendimento garantita dall'investimento in azioni rispetto al tasso di rendimento degli investimenti non di rischio) è arrivato a livelli eccezionalmente alti. Secondo i calcoli della JpMorgan, siamo ai "massimi degli ultimi cinquant'anni".

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Tags Correlati: Fabio Galimberti | Lehman Brothers | Ministero del Tesoro | Prezzi e tariffe

 

Le famiglie americane ora non investono più i soldi che guadagnano in beni immobili illiquidi e beni di consumo durevoli, ma li utilizzano per rifondere i mutui e i debiti al consumo accumulati. Anche le banche commerciali danno prova di una maggiore avversione al rischio o al credito parzialmente illiquido. Mille miliardi di dollari di riserve eccedenti rimangono parcheggiati, in gran parte immobilizzati, nelle banche della Federal Reserve, fruttando appena 25 punti base di rendimento, e con pochi segnali che inducano a ritenere che le banche vogliano perseguire rendimenti più alti attraverso un incremento dell'attività di prestito.

Questa rapida crescita dell'avversione al rischio di illiquidità è la ragione principale delle difficoltà che sta incontrando la ripresa negli Stati Uniti. La spesa per l'edilizia, quasi tutta a lungo termine, è giù del 43% in termini reali rispetto al picco raggiunto nel 2006, e rappresenta il calo più significativo fra tutte le principali tipologie di attività fisse.

L'accentuata avversione al rischio di illiquidità è abbastanza in contrasto con il livello attuale, relativamente basso, degli spread sulle obbligazioni industriali. Dal momento che un portafoglio di obbligazioni decennali liquide emesse da privati può essere venduto praticamente a piacimento, tale portafoglio è l'equivalente di un'attività molto a breve termine caratterizzata da prezzo alto e volatilità del tasso di interesse. La differenza tra attività liquide e attività illiquide è la ragione per cui le imprese non finanziarie, che detengono attività in gran parte illiquide, alla fine del 2006 (un attimo prima dello scoppio della crisi), mantenevano un livello di capitale proprio pari al 45% delle attività, contro il 10% delle banche commerciali.

In questo periodo di eccezionale turbolenza non c'è da sorprendersi che siano emersi forti dissensi fra politici ed economisti. Quasi tutti sono d'accordo che subito dopo il fallimento della Lehman Brothers un intervento del governo era necessario. Il sostegno garantito alle banche dal Tesoro Usa con il programma Tarp, e il supporto da parte della Federal Reserve al mercato dei commercial papers e ai fondi comuni d'investimento in titoli del mercato monetario hanno giocato un ruolo decisivo per arrestare la caduta.

Si è molto discusso, tuttavia, sul valore degli stimoli di bilancio. Gli stimoli (la somma dei tagli alle tasse e degli incrementi di spesa del governo federale) dal momento dell'introduzione del pacchetto di misure, nei primi mesi del 2009, ammontano a circa 480 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, l'ammanco complessivo di investimenti privati in capitale fisso calcolati rispetto alle percentuali medie a lungo termine di flussi di cassa sembra ammontare a circa 325 miliardi di dollari.

Nel mondo delle imprese quasi tutti attribuiscono la forte crescita dell'incertezza al tracollo dell'attività economica, ma il fatto che questa incertezza persista anche dopo l'avvio della ripresa è attribuito all'importante processo di ristrutturazione a largo raggio del nostro sistema finanziario e all'esplodere del disavanzo di bilancio del governo federale, che crea una fondamentale incertezza futura sugli scenari tributari.

Solo il disavanzo si presta a essere quantificato. Gli investimenti in capitale fisso in percentuale del flusso di cassa negli ultimi quarant'anni sono stati fortemente correlati (in senso negativo) con il rapporto fra deficit e Pil, con quest'ultimo che anticipa di nove mesi la quota di investimenti in capitale fisso. Tutto questo implicherebbe che il deficit del governo federale in percentuale del Pil dal settembre del 2008 (corretto in base alla congiuntura, per neutralizzare l'effetto di un'economia più debole) rappresenterebbe almeno un terzo dei 325 miliardi di investimenti in capitale fisso mancanti dai primi mesi del 2009.

Ma una quantità indeterminata degli altri due terzi è legata alle difficoltà, dirette e indirette, della vitale intermediazione finanziaria. Ci vorranno anni per affrontare le complessità inedite dei regolamenti attuativi richiesti nell'imponente legge di riforma della finanza. L'inevitabile incertezza che verrà a crearsi inibirà l'innovazione e l'intermediazione finanziarie, e renderà fastidiosamente congetturali le regole che governeranno il futuro mercato finanziario. Tutto questo è destinato ad avere un impatto importante sulla crescita economica. I pianificatori aziendali ora devono fare i conti con un insieme di scenari molto più ampio, che potrebbe influenzare la redditività degli impegni a lungo termine contemplati. Questa maggiore incertezza inevitabilmente fa aumentare i premi di rischio sulle attività illiquide.

L'interrogativo fondamentale, naturalmente, è fino a che punto una contrazione dei disavanzi e un rallentamento del ritmo forsennato di nuove regole possa lenire la sensazione di un futuro preoccupante, consentendo alle forze naturali della ripresa economica di prendere piede. Questo processo (che ho descritto in altri articoli pubblicati sul Financial Times, il 23 marzo e il 25 giugno 2009) avrebbe un'accelerazione se gli equity premium determinati dalla paura si riducessero e i prezzi delle azioni salissero di conseguenza. Questo darebbe impulso agli investimenti di capitale (che sono strettamente correlati) e alla spesa per i consumi trainata dal benessere. La crescita economica finalmente produrrebbe un calo significativo della disoccupazione.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© FINANCIAL TIMES

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