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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 08:02.
Qualche anno fa, sulle colonne di questo giornale, mi trovai a scrivere in modo un po' irridente sulla bizzarra trovata dell'allora sindaco di Roma, Walter Veltroni, tesa a concedere un patentino di centurione a quei baldi giovanotti che dalle parti del Colosseo, vestiti con elmo, corazza e peplum, si fanno fotografare coi turisti in cambio di una mancetta. So che se ne ebbe a male, pazienza.
Tuttavia oggi mi fa piacere discettare di una proposta dello stesso Veltroni che mi sembra di una ragionevolezza disarmante e che persino il suo partito pare intenzionato a far propria: l'immigrazione a punteggio. Secondo il documento presentato dalla corrente veltroniana, l'intento è di assicurare attraverso un sistema di immissione a punti che gli immigranti siano ammessi in Italia in base a una valutazione che tenga conto di variabili quali età, sesso, stato civile, istruzione, specializzazione, conoscenza della lingua, della cultura e dell'ordinamento del paese. Il percorso dovrebbe portare nella maggioranza dei casi alla concessione della cittadinanza. Naturalmente questo schema non si applicherebbe ai rifugiati politici, il cui ingresso nel paese è legato a logiche diverse.
Inoltre, continua il documento, poiché «l'immigrazione può mettere pressione sulla disponibilità di abitazioni e di servizi pubblici delle nostre comunità», bisognerebbe costituire un "Fondo impatto immigrazione" pagato dai contributi degli immigrati per aiutare le aree locali.
Politiche simili, si ricorda, sono adottate in paesi come il Regno Unito, la Nuova Zelanda, l'Australia, il Canada e la Danimarca e quindi non sono una novità assoluta. Nemmeno nel Belpaese, aggiungo io: i ministri Sacconi e Maroni ne hanno parlato varie volte.
Che dire? In un perfetto mondo libero, senza costi di transazione e senza welfare state l'immigrazione non creerebbe difficoltà, un po' come nel Far West americano (quando non bisognava sloggiare gli indiani, beninteso). Chi vuole si stabilisce nel posto che più gli piace, lavora, rispetta le leggi e usufruisce della protezione accordata a ogni residente che paga le tasse.
Nella vita reale, purtroppo, non è così: non solo c'è la questione dell'immigrazione clandestina, ma quella dei costi e benefici del flusso migratorio, anche in termini di integrazione culturale dei nuovi arrivati e di sostegno a quella consistente parte di loro che non lavora ma gode dei privilegi del welfare locale. Il sistema delle quote è rozzo: il governo non azzecca mai quante persone servono all'economia e quando il numero estratto è troppo basso si esacerba il problema degli ingressi illegali.