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Commenti e Inchieste

Se la protesta sfida la politica

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2010 alle ore 08:21.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2010 alle ore 08:04.

Quanta distanza fra le braccia tatuate dei nazionalisti serbi, tese nel saluto cetnico a Marassi, e le mani rugose delle anziane simpatizzanti dello United Kingdom Independence Party che, stringendo un boccale di birra in un pub del Surrey, insultano Bruxelles e il sistema metrico decimale. Che differenza tra gli azzimati giovani sostenitori dell'olandese Geert Wilders e della danese Pia Kjaersgaard, che invocano un argine all'invasione islamica delle città nordiche, e il colorato popolo dei Tea Party americani che indossa costumi coloniali per dare una rappresentazione alla ribellione anti-establishment.


Proprio per rendere conto delle enormi diversità e dei tratti comuni fra le onde montanti dei movimenti di neopopulismo nei paesi avanzati, Il Sole 24 Ore ha cominciato il 26 settembre una serie d'inchieste in nove puntate, che si è conclusa ieri. Analisi che potrebbero in realtà continuare per rendere conto, ad esempio, del sorprendente secondo posto ottenuto con il 27% dei suffragi domenica a Vienna "la rossa" (orgogliosamente socialdemocratica dal 1919 con la sola parentesi nazi-fascista) dalla destra post-Haider, guidata dall'odontotecnico xenofobo Heinz-Christian Strache. Un successo all'insegna dello slogan «difendiamo il nostro sangue viennese». Così come merita di finire sotto la lente la destra ultranazionalista serba macchiatasi domenica di sanguinosi scontri a Belgrado a margine della gay parade e del penoso spettacolo di martedì allo stadio di Genova. Anche se quella balcanica è una destra dalle radici storiche molto diverse da quella dei movimenti neopopulisti dei paesi avanzati, come dimostrano anche i tatuaggi dei figli delle tigri di Arkan ispirati al 1389, anno della battaglia della Piana dei Merli combattuta dai serbi contro l'impero ottomano.


Tratto comune dei leader dei nuovi partiti xenofobi e localisti dei paesi avanzati - da René Stadtkewitz, fondatore di un partito anti-islamico in Germania, all'eurodeputato danese Morten Messerschmidt che vuole tagliare il welfare agli stranieri - è invece prendere nettamente le distanze dai movimenti fascisti e neonazisti. Di definirsi come partiti "della libertà" o "del popolo", ma di rigettare con forza l'etichetta di populismo, ammettendo solo di «saper ascoltare i bisogni e le richieste della gente». Perfino i movimenti di matrice più nostalgica come il francese Front National o lo Zaitokukai, che rivendica il diritto nazionale giapponese alla caccia di delfini e balene, si danno ora un volto tecnologico e meno truce, frequentano social network e twitter.

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Tags Correlati: Belgio | Front National | Geert Wilders | Germania | Gran Bretagna | James Kirchick | Lega | Morten Messerschmidt | Partiti politici | Pia Kjaersgart | René Stadtkewitz | Roger Cohen | Tom Wolfe | Zaitokukai

 


Di certo ci sono rigurgiti d'intolleranza sociale e religiosa comuni a tutti questi movimenti, in particolare in Europa, al di là delle sfumature nazionaliste, localiste ed euroscettiche. «Europe the intolerant» ha titolato ieri James Kirchick il suo editoriale sul Wall Street Journal, ripercorrendo le alte percentuali di anti-islamismo e di anti-semitismo che tuttora si registrano nel Vecchio Continente (proprio ieri un sondaggio ha confermato che più della metà dei tedeschi, il 58,4%, ritiene che si debba considerevolmente restringere la pratica dell'islam in Germania). E ha ricordato che Tom Wolfe già nel 1985 scriveva che «la notte buia del fascismo sembra sempre discendere negli Stati Uniti, ma alla fine atterra solo in Europa». Il giorno prima un editoriale di prima pagina di Le Monde aveva evidenziato gli eccellenti risultati in Europa di un'estrema destra «dopata dall'islamofobia».
Che già permette al Partito della libertà olandese di Geert Wilders e a quello del popolo danese di Pia Kjaersgart (ai quali il quotidiano francese accomuna la Lega Nord) di dare un decisivo appoggio esterno a governi conservatori. Anche Roger Cohen qualche giorno prima aveva sottolineato dall'International Herald Tribune come in Europa «i partiti populisti anti-immigrati e anti-islamici prosperino sul disagio generato da fragilità economica, delocalizzazione e immigrazione di massa».


E proprio qui sta la grande sfida che i nuovi movimenti lanciano ai partiti della vecchia politica. Non basta più trincerarsi nel mito della tolleranza di stampo illuminista o dei comportamenti politically correct. Tanti "piccoli europei" vedono la loro identità in qualche modo messa in discussione dal flusso debordante dell'immigrazione, in gran parte islamica, e il loro lavoro messo a rischio dal poderoso potere economico di paesi emergenti come la Cina. Alla Politica con la P maiuscola il compito di svelenire questi sentimenti, garantendo il dialogo tra le comunità, ma anche la sicurezza delle città, il controllo del flussi migratori illegali, la riemersione del lavoro nero, straniero e non. Altrimenti l'onda del neopopulismo può diventare una marea difficile da arginare, in vecchi e nuovi continenti.


Le nove puntate dell'inchiesta
Le puntate sono state pubblicate il 26 (Belgio),
28 (Usa) e 30 settembre (Olanda), l'1 (Francia),
2 (Germania), 6 (Gran Bretagna), 7 (Giappone),
9 (Ungheria) e 13 ottobre (Danimarca)

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