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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2010 alle ore 08:30.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2010 alle ore 08:03.
Solo una volta in dieci anni Tony Blair ha davvero rischiato di perdere un voto ai Comuni e il posto di primo ministro. Non quando si trattò di ratificare la guerra in Iraq, ma nel 2004, quando l'Higher Education Act introdusse due modifiche cruciali al sistema di contribuzione studentesca che il suo stesso governo aveva messo in piedi sei anni prima.
Al posto del contributo unico di mille sterline all'anno, le università diventavano libere di chiederne fino a tremila (lo hanno fatto quasi tutte) e, in cambio, il pagamento sarebbe stato differito a dopo la laurea grazie a un meccanismo di prestiti a scadenza garantiti dallo stato. Nonostante molte garanzie, tutto ciò era davvero troppo per la base Labour, che reagì riducendo a soli 5 voti una poderosa maggioranza di 160.
Oggi il rapporto di Lord Browne, cui il governo uscente aveva chiesto un libro bianco indipendente di analisi e proposte sul futuro, si spinge oltre sulla strada allora segnata: propone di abolire il tetto alla contribuzione, innalza in compenso il livello minimo di reddito oltre il quale s'incomincia a ripagare il prestito, impone una restituzione più onerosa, tramite tassi differenziati, ai redditi alti, e allo stesso tempo inasprisce gli obblighi imposti alle università più costose in tema di borse di studio per gli studenti disagiati.
Il rapporto, che prevedibilmente avrà seguito nonostante l'enorme costo politico per la componente liberale della coalizione, rifiuta quindi l'idea di una "tassa sui laureati" per confermare la scommessa sul sistema dell'accesso a pagamento differito, un sistema che in questi anni ha dato nel complesso buona prova di sé in un paese dove ormai è pacifico considerare la formazione avanzata come un investimento e non un costo.
Dalla liberalizzazione dei contributi ci si attende ora soprattutto che le università più competitive a livello internazionale possano continuare ad esserlo nonostante la prevedibile stretta sui fondi pubblici, che tutti i partiti, opposizione inclusa, ritengono vadano destinati prioritariamente alla scuola. Il sistema, non c'è dubbio, si avvia a una più marcata differenziazione al suo interno.