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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 07:02.
L'ultima modifica è del 17 ottobre 2010 alle ore 14:35.
Io mi auguro con tutto il cuore che non accada mai più, ma temo proprio che accadrà ancora. Accadrà ancora che qualche nostro soldato muoia in un servizio lontano e se così sarà dovremmo almeno evitare di esacerbare ancora di più i nostri animi, a causa delle ipocrisie e delle vere e proprie bugie che continuiamo a dire a noi stessi in occasione di ogni missione militare.
Ha fatto bene Franco Venturini a scrivere giorni fa sul Corriere della sera che in Afghanistan è giusto adottare tutti gli accorgimenti disponibili per la sicurezza, ma sarebbe ipocrita far credere in una possibile neutralizzazione dei rischi. I rischi in quel contesto ci sono, il massimo che si può fare è ridurli e non ha senso perciò da parte nostra reclamare il ritiro ogni volta che prendono corpo, come se qualcuno avesse tradito le nostre aspettative o non fosse stato ai patti. Mentre noi - ammettiamolo - un po' la vediamo così.
C'è del resto una ragione ancora più profonda, una più radicata ipocrisia, a spiegare questa nostra reazione. È la convinzione, errata ma mantenuta spesse volte in vita anche da chi sa che è errata, che noi i nostri soldati potremmo e dovremmo mandarli in missione solo per portare ospedali e per assistere comunque la popolazione civile. Mai invece per operazioni militari, perché queste sono in quanto tali guerre e la guerra è ripudiata dalla nostra Costituzione.
Così, quando uno di loro muore, quando ci accorgiamo che ciò è accaduto in un'operazione militare, ecco il tradimento delle nostre aspettative.
Io ho il massimo rispetto per il pacifismo assoluto (mai e in nessun caso la guerra) e per le convinzioni morali e religiose che lo ispirano. È tuttavia mio dovere, esso stesso un dovere morale, misurare tali convinzioni con la verità di una Costituzione che non ha sposato un tale assolutismo, ma che troppe volte è stata letta senza il coraggio di chiarirlo con la necessaria fermezza, incoraggiando così il ricorso alle ipocrisie lessicali per non farci sentire mai in guerra. Salvo a rimanere sorpresi quando poi ce ne rendiamo conto.
Chissà quanti sono gli italiani che pensano che, secondo la Costituzione, l'Italia ripudia la guerra, punto e basta. Non è così. Essa dice all'articolo 11 che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Ciò ha un chiaro significato, coerente del resto con i principi che si stavano affermando nella fase storica in cui la Costituzione fu scritta. Non dimentichiamo che in precedenza, grazie al radicatissimo e per secoli intangibile principio della sovranità degli stati, mai erano stati posti limiti al loro diritto di fare la guerra. E fu un cambiamento epocale quello introdotto nel 1945 con la Carta delle Nazioni Unite, la quale, alla fine della guerra più sanguinosa della storia, impegnava gli stati membri a risolvere le loro controversie con mezzi pacifici e a usare le armi solo per difendersi da un'aggressione, lasciando invece all'intervento collettivo la difesa dalle minacce e il ristabilimento della pace.