Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 17 ottobre 2010 alle ore 14:30.
«Dove abiti?». «In via Gioberti». Meglio rimanere sul vago. Quel palazzo grigio era una vergogna da nascondere. E per una bambina da poco arrivata dal Marocco dire «abito in via Gioberti» permetteva di nascondere quella vergogna.
In via Gioberti, appena al di là del recinto di quel suo palazzo grigio-vergogna, c'erano le villette. Dove la sua fantasia da bambina le faceva sognare di abitare. E così, senza tanti approfondimenti, lasciava intendere agli altri che viveva proprio lì, in quelle case bianche, ordinate e silenziose, con prati verdi e fiori colorati. Villette che ogni giorno, tornando da scuola con la cartella sulle spalle, s'incantava a vagheggiare sfiorando con le mani le ringhiere che dividevano lei dall'altro mondo.
Quanti pianti e ribellioni con gli altri fratelli prima di arrivare al palazzo grigio! Perché, nonostante fossimo arrivati in Italia da pochi anni, quel brutto palazzo grigio lo avevamo imparato a conoscere, eccome. Già dai banchi di scuola. Avevamo capito che abitare lì significava percorrere un triste cammino: quello della separazione, del degrado, della discriminazione, della frustrazione per essere così lontani e diversi dagli altri compagni.
Eppure sembrava essere l'unica possibilità per chi, straniero, chiedesse una casa popolare. Per chi non poteva spendere molti soldi. Anche se nella piccola cittadina, di case popolari, oltre al palazzo grigio, ve ne erano altre, sparse qua e là. Ma niente da fare: per i marocchini c'era solo quella opportunità. Il palazzo grigio.
Sui citofoni, venti anni fa, i nomi degli abitanti variavano da Calogero a Salvatore. Erano quasi tutti meridionali. Poi però sempre più Mohamed, Mostafa, Abdellah, Youssef e ancora Samir, Salaheddin, Said e poi ancora Mohamed. Sempre più marocchini e meno meridionali. Sono gli ultimi arrivati, ed è lì che devono stare. Tutti insieme, concentrati e, soprattutto, separati da tutti gli altri.
Oggi quella bambina è cresciuta, ma il palazzo grigio è sempre lì, a tre chilometri dal centro della piccola cittadina. Simbolo di come in Italia ci si è organizzati o, meglio, non ci si è organizzati, in tema d'immigrazione e in particolare nelle politiche abitative, che sono determinanti per creare e pensare le società del futuro. A fare il resoconto, da vent'anni a questa parte, c'è solo da preoccuparsi nell'assistere a quello che si è creato nel disinteresse comune, nell'idea – comoda e pigra – del "lasciamoli tutti là, tra di loro".